Autore: Carlo Romeo

 

Rif. bibl.: Romeo, Carlo, Il fiume all’ombra del castello. Il concetto di “Alto Adige”, in: Tirol – Trentino: eine Begriffsgeschichte / semantica di un concetto (“Storia e Regione / Geschichte und Region”, 9, 2000), pp. 135-152. 

 

 

Storia e Regione / Geschichte und Region 9 (2000)

 

 

 

 Il fiume all’ombra del castello

 

Il concetto di “Alto Adige”

 

 

 

di Carlo Romeo

 

 

  

 

Finché decorre il rivo e il fiume in giù 

la ragione l’ho io. Combinazione  

 che il fiume e il rivo andassero all’insù 

dirò che ho torto e che hai ragione tu. 

 

(E.Tolomei, Un sequestro dell’«Archivio»)

  

 

L’atto di nascita

 

La paternità dell’odierno concetto di Alto Adige è convenzionalmente attribuita ad Ettore Tolomei, che alla sua elaborazione, diffusione e applicazione dedicò ogni sforzo della sua multiforme attività di studioso, politico, organizzatore, giornalista e polemista. È quindi pienamente giustificata la definizione di “uomo che inventò l’Alto Adige” apposta da Maurizio Ferrandi come sottotitolo al suo saggio sul roveretano. Solo dalla nascita della rivista Archivio per l’Alto Adige (1906) il nome e concetto cominciano a diffondersi nelle università, nelle accademie e nella pubblicistica del Regno d’Italia. A suggello di questa paternità, orgogliosamente rivendicata da Tolomei fino ai suoi ultimi scritti, può bastare l’incipit della voce “Alto Adige” dell’Enciclopedia Italiana (1929): “Nome introdotto nell’uso da Ettore Tolomei, nel 1906, e da allora comunemente adoperato in Italia per designare la sezione superiore dell’Adige, a monte della stretta di Salorno, fino al limite geografico dell’Italia”. Ancora più perentoria è la voce che la stessa enciclopedia dedica a Tolomei nel 1937, a firma di Antonio Zieger: “Riuscì a imporre il suo pensiero alla nazione, nel suo concetto geografico attuale, ancora nel periodo precedente alla guerra mondiale.”

 

Se dunque la data di nascita e la paternità del concetto sono convenzionalmente fuori discussione, più complesso è il quadro di riferimenti che stanno alla base della sintesi tolomeiana. In essa, infatti, confluiscono elementi teorici diversi che, passando dal medioevo all’umanesimo, dall’illuminismo al risorgimento italiano, erano stati assunti dalla cultura dell’irredentismo trentino nella seconda metà dell’Ottocento. Il concetto geografico-politico di Tolomei coincide cronologicamente col periodo di maggiore tensione fra le nazionalità all’interno del Tirolo, quando alle rivendicazioni da parte del Welsch-Tirol (Trentino) di una concreta autonomia o, addirittura, di una secessione da Innsbruck, si contrappone la politica aggressiva di associazioni tedesco-tirolesi. I campi di questa lotta nazionale sono soprattutto quelle zone mistilingui, come il cosiddetto Tratto Atesino tra Bolzano e Salorno, la Val d’Adige da Bolzano a Merano e le vallate ladine; quelle zone, insomma, che testimoniano della natura di transizione tra mondo italiano e mondo germanico e di vicinanza tra diverse identità culturali che da sempre hanno i territori alpini.

 

È quindi nel contesto delle rivendicazioni nazionali all’interno del Tirolo, a cavallo dei secoli XIX e XX, che nasce l’Alto Adige, su elementi precedenti che Tolomei rielabora radicalmente in un concetto geopolitico che unisce la teoria delle frontiere naturali a suggestioni di tipo ratzeliano.

 

 

Natura e politica; geografia e storia 

 

Nel dialogo Il Centone, pubblicato nei tardi anni romani (1949) ma ideato ed elaborato fin dalla giovinezza, Ettore Tolomei riassume il suo principale cardine teorico, attraverso le parole di uno dei personaggi (Francesco Ferrucci), cui è affidata una specie di apologia della geografia (“disciplina positiva e morale insieme”). Le sue immutabili leggi debbono essere considerate superiori a quelle della storia, che sono invece mutevoli perché dettate dai piccoli e occasionali rivolgimenti umani.   

 

La geografia è alla base d’ogni destino delle città e dei popoli. Avendo sempre studiato con passione la storia, non vi ho mai trovato avvenimenti che non avessero a fondamento la conformazione della Terra: i mari, i continenti, le isole, i monti e i piani, i fiumi, il clima, i prodotti, insomma tutto ciò che è oggetto degli studi geografici. E’ dunque la geografia che dev’essere considerata la “maestra di vita” dei popoli, mentre la storia non è altro che una conseguenza dei fattori geografici.

 

La supremazia della geografia rispetto alla storia presentata da Tolomei può offrire uno spunto di confronto con quella della natura rispetto alla politica che era stata al centro della riflessione di alcuni intellettuali trentini del Settecento nell’ambito dell’Accademia Roveretana degli Agiati, fondata nel 1750. In pieno periodo illuminista la coscienza pre-nazionale trentina aveva trovato una forma di rappresentazione teorica nella distinzione tra la “natura”, intesa come l’identità culturale più profonda, autentica e che si esprimeva anzitutto nella lingua, e la “politica”, intesa come un’identità secondaria, più superficiale, dettata dalle occasionali vicende della storia. I trentini dovevano pertanto considerarsi appartenenti al Tirolo in senso politico, ma italiani per natura. Gli elementi portati a sostegno della riflessione sull’italianità erano vari e tutti furono utilizzati e perfezionati nel secolo successivo giungendo sino a Tolomei. Fra questi: gli usi e costumi italiani, la pertinenza della regione alpina meridionale all’Italia fin dal tempo delle province imperiali romane (X Regio), i legami economici e culturali con l’area padana, l’”italianità” del principato vescovile di Trento, di cui i conti di Tirolo erano stati advocati e quindi vassalli.

 

L’eredità roveretana di Tolomei e, al contempo la sua consapevole, enorme distanza dalla teorizzazione settecentesca dei Vannetti e di Baroni Cavalcabò, appare esplicito nel confronto tra due poesie. In un noto sonetto del 1790 Clementino Vannetti, successore del padre Valeriano alla guida dell’Accademia degli Agiati, aveva chiarito con feroci accenti satirici all’attore bolognese Antonio Morocchesi (che aveva chiesto se Rovereto fosse nel Tirolo) la distinzione tra l’identità italiana e quella tirolese.

 

Regola geografico-morale

 

Del Tirolo al Governo, o Morocchesi,

Fur queste valli sol per accidente

Fatte suddite un dì: del rimanente

Italiani noi siam, non Tirolesi!

 

E perché nel giudizio dei paesi

Tu non la sbagli con la losca gente

Che le cose confonde e il ver non sente

Una regola certa io qui ti stesi.

 

Quando in parte verrai dove il sermone

Trovi in urlo cangiato, orrido il suolo,

Il sole in Capricorno ogni stagione,

 

Di manzi e carrettieri immenso stuolo,

Le case aguzze e tonde le persone,

Allor dì francamente: Ecco il Tirolo!

 

A un secolo e mezzo di distanza Tolomei dedica a Vannetti un sonetto, quasi “per le rime”, annunciandogli la nuova situazione e cioè il ristabilimento del «bel sermone» (la lingua italiana) fino al confine naturale d’Italia; ciò è stato reso possibile da un “nuovo concetto” (l’Alto Adige).

 

A Clementino Vannetti

 

Il nome di Tirolo, o Clementino,

varcato ha il monte, designa il paese

dal qual nei tempi l’Asburgo discese.

L’Austria finì! Quel nome è transalpino.

 

Apprendi, o mio genial concittadino,

nuovo concetto che la Patria estese

e reca pace dopo tante offese:

due genti paghe del confine alpino!

 

Torna, o Vannetti, torna il bel sermone

Da valle a monte riguadagna il suolo.

Ride sereno il ciel, d’ogni stagione,

 

ai rurali d’Italia, «immenso stuolo»,

arnesi in spalla e aduste le persone.

Alto Adige è qua, di là Tirolo.

 

Il “nuovo concetto” di cui parla Tolomei non poteva essere presente alla riflessione di Vannetti. L’Alto Adige ha portato a far coincidere il confine linguistico con il confine geografico; ha portato alla patria un territorio naturale (“confine alpino”), un territorio promesso (“ride sereno il ciel”), un territorio vitale (“riguadagna il suolo”).

 

 

Il Dipartimento dell’Alto Adige

 

Nel periodo napoleonico la coscienza nazionale trentina trova definizioni più precise. A ciò contribuiscono molti fattori, tra cui la secolarizzazione del Principato Vescovile di Trento (1803), assorbito interamente dal Land Tirol. Non è un caso che il concetto di Trentino si affacci proprio ora (1806) all’interno dei circoli intellettuali di Trento e Rovereto, in concorrenza con quello di Tirolo italiano. I tre anni (1810-1813) in cui il napoleonico Regno d’Italia domina su gran parte della regione lasciano una traccia profonda nell’immaginario delle rivendicazioni successive; è in questo periodo, tra l’altro, che il nome di Alto Adige diventa per la prima volta denominazione politico-amministrativa ufficiale.   

 

Dacchè tutto questo tratto di Paese che ora compone il Dipartimento dell’Alto Adige fu riunito al Tirolo, e variamente signoreggiato da Principi Tedeschi, somma lode è derivata alla maggior parte de’ suoi abitanti dall’aver essi pel corso di più secoli mantenuto intero il primo loro idioma, ch’è pur sempre stato quello di tutto il resto d’Italia. Egli è dunque con piacere ch’io annuncio loro, che questo sì caro idioma sarà d’ora in poi l’idioma legale del Paese, ed il solo da usarsi in tutte le pubbliche scritture.

 

Così recita uno dei primi Avvisi nel Dipartimento dell’Alto Adige del Regno d’Italia. Al nuovo nome del territorio vengono collegate due precise indicazioni. La prima, d’ordine politico, rivendica al territorio una distinzione storica rispetto al Tirolo dei “Principi Tedeschi”. La seconda, d’ordine etnico-linguistico, rappresenta il riconoscimento dell’italiano quale “primo idioma” delle popolazioni del territorio, sopravvissuto alla pressione a lungo esercitata da parte della lingua tedesca.

All’uso napoleonico l’unità amministrativa prende il nome del fiume principale che segna il territorio. Per tre anni scompare così dall’ufficialità il nome “politico” del castello d’origine (Stammschloss) dei conti che avevano a loro volta dato il nome al vasto territorio. Ed è da questo momento che all’indicazione territoriale legata al fiume potranno essere richiamati, da chi vorrà farlo, significati di laicismo politico (come sarà con il periodico Alto Adige fondato nel 1886 dai liberali trentini) oppure significati esplicitamente nazionali, come farà Tolomei. Nel 1915, a guerra iniziata, il roveretano motiva retrospettivamente con queste parole i significati del nome scelto.

 

La denominazione (Alto Adige, N.d.A.) riposa sopra un concetto strettamente geografico. Non per questo parve priva di significato ideale; anzi la sua forza stava appunto nell’ordine dei fatti naturali che sempre determinano gli avvenimenti storici e i destini avvenire dei popoli (…) Tirolo non è nome regionale, non è nome geografico né etnico; è semplicemente un nome politico, è l’esponente d’una forma politica che sta per cessare.

 

Oltre alla forza geografica il fiume poteva contrapporre al castello anche una tradizione storica come indicazione territoriale sin dall’inizio del basso medioevo, cioè da quando nei documenti le indicazioni sulla terra inter montes cominciano a farsi meno vaghe. Lungo i secoli era stata presente infatti una certa concorrenza tra l’indicazione geografica relativa al principale fiume che caratterizza il territorio a più livelli - insediativo, economico e culturale - e l’indicazione politica e ufficiale della contea e del principato. Il richiamo all’Adige (in partibus Athesis, terra Athesis, etc.) definiva comunque il territorio a sud dello spartiacque alpino ad esclusione dei possedimenti dei principati vescovili di Bressanone e Trento. A sottolineare anche da un punto di vista militare-amministrativo la distinzione di questo territorio vi era stata la figura di un capitaneus ad Athesim (Hauptmann an der Etsch, capitano del Lungadige), cui ne era affidata la difesa.  

 

Per quanto riguardava poi il nome di/del Tirolo, ad incrinare l’immagine della sua unità storica vi era la presenza, fino all’epoca moderna, dei principati vescovili di Trento e Bressanone. La loro secolarizzazione e incorporazione nel Land Tirol (in seguito alla Convenzione di Parigi del 26 dicembre 1802 e del recesso di Ratisbona del 25 febbraio 1803) era sembrata portare definitivamente ad un’indicazione unitaria del vasto territorio a cavallo del crinale alpino. Ma a distanza di nemmeno tre anni il nome di Tirolo era stato nuovamente cancellato. La pace di Presburgo (26 dicembre 1805) aveva consegnato infatti il Land Tirol al Regno di Baviera, alleato di Napoleone, che si era affrettato ad introdurre nel versante meridionale le unità amministrative dei “Kreisen Eisack und Etsch” (Circoscrizioni dell’Isarco e dell’Adige).  

A pochi giorni dalla fucilazione a Mantova di Andreas Hofer, il trattato di Parigi del 28 febbraio 1810 ridisegnò i confini tra il Regno d’Italia e quello di Baviera. Nonostante la richiesta a Napoleone da parte del Viceré d’Italia Eugenio de Beauharnais dello spartiacque alpino come frontiera (“la limite tracèe par la nature même”), si giunse, di fronte alle resistenze bavaresi, al compromesso della cosiddetta “linea napoleonica”. Il nuovo confine tagliava a metà la Val d’Adige tra Merano e Bolzano e la Val d’Isarco presso Chiusa. Il Dipartimento dell’Alto Adige comprendeva così il Trentino e il distretto di Bolzano. I cantoni di Livinallongo, Ampezzo e Dobbiaco furono invece annessi al Dipartimento della Piave (Belluno) e il territorio di San Candido alle Province Illiriche.

Il nuovo assetto fu bruscamente capovolto già nel 1813 con la rioccupazione asburgica e il ripristino del Land Tirol, cui furono aggiunti i cantoni precedentemente ceduti. Il ricordo dei tre anni del Dipartimento dell’Alto Adige si trasformò per alcuni circoli intellettuali trentini in una specie di culto nazionale.

 

 

Il Risorgimento

 

Nel corso dell’Ottocento, accanto alle tensioni tra il Land Tirol e Vienna, si manifesta sempre più l’espressione intellettuale della distanza tra l’identità trentina e quella tirolese, monopolizzata politicamente dalla componente tedesca. Lungo gli anni Quaranta ha luogo una querelle storico-letteraria che, retrospettivamente, fu vista da parte italiana come un prodromo al concetto di Alto Adige. Lo storico Giuseppe Frapporti, in uno studio sulla Storia e condizione del  Trentino nell’antico e nel medio evo (1840), pubblica una carta della regione che, pur riferendosi al IX sec. d. Cr., marca la linea dello spartiacque alpino come divisione tra “Italia” e “Germania”. Indica inoltre come “Trentino superiore” le valli d’Isarco, Pusteria e Venosta, aggiungendo osservazioni sull’evidenza del confine geografico.

 

Questa regione (il Trentino, N.d.A.) va dalla stretta di Verona al Brennero e ai ghiacciai del crinale alpino (…) I Tedeschi trapiantati di qua dalle Alpi sono e si hanno a dire Tedeschi in Italia e se Brunopoli (Brunico/Bruneck, N.d.A.) non è città italiana, è però nell’Italia (…) così le valli dell’Isarco e della Venosta, secondo il fondamentale concetto di natural divisione.

 

Partendo dalla toponomastica medievale, il Frapporti sarà anche il primo a concepire una revisione italiana dei toponimi tedeschi lungo il versante meridionale del crinale alpino. Il confine oro-idrogeografico di valore strategico-militare (non a caso era stato sottolineato a suo tempo dai generali napoleonici) diventa presto il leitmotiv della teorizzazione.   

 

Da parte italiana non era difficile rinvenire e recuperare dal passato gli exempla e gli auctores che testimoniassero il concetto delle Alpi come baluardo difensivo e confine naturale della penisola. Dagli scrittori dell’antichità (Polibio, Cicerone, Livio) ai poeti (Dante, Petrarca) e agli umanisti (Biondo, Piccolomini, Pincio). A questo topos letterario delle “mal vietate Alpi” si rifanno anche i moniti dei personaggi risorgimentali, che durante le guerre di indipendenza collegano strettamente alla rivendicazione del Trentino quella del confine naturale. Giovanni Prati nell’Ode a Carlo Alberto (1847) invita il re piemontese ad alzare “la mano al Brennero grave intimando all’ospite che in pace lo rivarchi”. Nel 1848 Carlo Cattaneo ai volontari lombardi addita il Brennero come «la frontiera avvenire che la mano di Dio fin dal principio dei secoli segnò per l’Italia». Così anche Luciano Manara («L’Italia non sarà libera finché il tricolore non sventolerà sul Brennero; e noi dobbiamo piantarvelo. D’altronde la missione di evangelizzare anche quella parte d’Italia è sacrosanta»). Ancora più dettagliato nella motivazione strategica è l’osservazione di Maurizio Quadrio, segretario di Mazzini (1849):

 

Il Tirolo meridionale appartiene all’Italia. Il Tirolo meridionale è diviso dal Tirolo tedesco per la catena madre delle Alpi retiche, le quali formano un confine più determinato e certo di quello delle Alpi Carnie sopra l’Isonzo e, più ancora, di quelli che separano molti stati europei. Culmine sommo e punto di separazione, il Brennero.        

 

Di «marcia alle Alpi» parla Giuseppe Garibaldi (1860) e il raggiungimento del crinale alpino è l’obiettivo dichiarato dai delegati italiani al negoziato dell’alleanza con la Prussia (1866). Fra le innumerevoli prese di posizione dei protagonisti del Risorgimento italiano, destano un interesse particolare le osservazioni di Giuseppe Mazzini, il quale, perorando l’annessione di tutto il versante meridionale delle Alpi all’indomani della III guerra di indipendenza, adduce non solo motivi strategici ma anche, sulla scorta di tendenziose informazioni, motivi etnico-linguistici, paesaggistici, economici. Non manca inoltre l’accenno alla facilità di un’eventuale assimilazione della minoranza tedesca.

 

Nostro, se mai terra fu nostra, è il Trentino, nostro fino al di là di Brunopoli (Brunico/Bruneck, N.d.A.), alla cinta delle Alpi Retiche. Là sono le Alpi Interne, e nostre sono le acque che ne discendono a versarsi nell’Adige e nel golfo veneto. E la natura e le frutta meridionali, a contrasto con la valle dell’Inn, parlano, a noi e al viaggiatore straniero, d’Italia (…) Italiane le relazioni economiche, italiane le linee naturali del sistema di comunicazioni e italiana è la lingua: su 500.000 abitanti solo 100.000 sono di stirpe teutonica, non compatti e facili ad italianizzarsi (…) Porta d’Italia, vasto campo trincerato dalla natura, l’Alto Adige, ad essere sicuri, bisogna averlo, ché là si concentrano tutte le vie militari; è un cuneo cacciato tra la Lombardia e la Venezia.  

 

Dall’altra parte, la conseguenza dei mutamenti del confine tra Italia ed Austria nel 1866 fu il nuovo ruolo di avamposto del sentimento nazionale, del Deutschtum, cui fu destinato il Land Tirol. Esso si trovò in prima linea nella lotta contro questa “avanzata dal sud” e i primi obiettivi posti furono la completa germanizzazione dei ladini e il contenimento dell’afflusso e insediamento italiano nella valle dell’Adige e a Bolzano. Fu una sorda lotta che coinvolse le associazioni pangermaniste e nazionaliste italiane, divise il clero, entrò in molti ambiti della vita quotidiana e non solo di quella degli intellettuali. E la lotta si armò da subito degli strumenti della retorica. Non furono risparmiati i numi tutelari delle rispettive tradizioni culturali; al monumento bolzanino di Walther v. d. Vogelweider (1889) si contrappose quello di trentino di Dante (1896). L’autonomia trentina nel frattempo, nonostante i ripetuti progetti, rimaneva una questione irrisolta. Fasce sempre maggiori dell’opinione pubblica tedesco-tirolese e di quella trentina si fecero sollecite a rispondere agli appelli alla mobilitazione. Il tentativo di istituire una facoltà di legge in lingua italiana ad Innsbruck (una piccola concessione alla questione universitaria trentina che si trascinava dal 1866) abortì di fronte ad una violenta mobilitazione (1904). La lotta nazionale era già penetrata anche nelle aule universitarie, in quelle scolastiche, nelle conferenze, nelle accademie e nei circoli culturali. Era penetrata nelle collezioni archeologiche, negli studi storici, letterari, toponomastici, e soprattutto nella geografia. “Il sapere geografico ed etnografico è una forza politica” aveva scritto Friedrich Ratzel. I suoi assiomi trovavano sullo scorcio del secolo orecchi pronti ad accoglierli per poi volgarizzarli e adattarli alle varie situazioni. Una geografia antropica si mutava in una geopolitica. È in questo clima che Tolomei “concepisce” l’Alto Adige.       

 

 

L’Archivio per l’Alto Adige

 

L’Archivio illustra quella vasta regione situata a settentrione del Trentino proprio, di qua però delle Alpi, e avente per centro Bolzano, la quale, benché appartenga incontestabilmente all’Italia geografica rimase fino ad ora quasi del tutto esclusa dalle ricerche e dagli studi coi quali si compie la descrizione della Penisola e se ne viene restituendo la storia. È ormai tempo che questa parte del suolo italiano cessi di essere, a differenza di tutte le altre, ingiustamente ignorata dagli italiani, e persino dai più colti, mentre la illustrano di continuo le numerose splendide pubblicazioni straniere.

 

Così esordiva Ettore Tolomei nella Premessa alla prima annata della sua rivista «Archivio per l’Alto Adige» (1906), pubblicando sulla copertina la cartina dell’Alto Adige, con un tratteggio che ne evidenziava l’estensione, distinguendola così dal Trentino, e soprattutto con una linea continua indicante lo spartiacque alpino molto più marcata di quella, punteggiata, che segnava il confine tra l’i.r. Monarchia e il Regno d’Italia. La cartina alludeva già di per sé a un battagliero progetto di rivendicazione nazionale e fu in seguito censurata dalle autorità austriache, come pure interi numeri della rivista. I contatti di Tolomei col mondo accademico italiano, soprattutto fiorentino e romano, e con società come la Dante Alighieri assicurano alla rivista, sin dall’inizio, contributi e prestigiosi avalli (ad esempio quello del glottologo Isidoro Graziadio Ascoli, l’autore dei Saggi ladini).

 

Già dopo i primi numeri si può considerare composto il quadro della rivendicazione e del concetto dell’Alto Adige. Ai due assiomi principali dell’unità oro-idrografica formata dalle valli del territorio e della sua pertinenza geografica all’Italia, Tolomei connette altri motivi di documentazione nazionale: archeologici, storici, artistici, folclorici, musicali, letterari, economici, demografici. Presi nel loro insieme questi motivi mirano non solo a documentare la presenza in quel momento di una significativa componente italiana nel territorio ma soprattutto - ed è questa la caratteristica di Tolomei - a ribaltare i caratteri antropogeografici tedeschi del territorio, dovuti ad una germanizzazione recente. Le tracce della latinità servono, nell’intero concetto, come conferma della naturalità antropogeografica della pressione dell’elemento italiano verso il crinale alpino. 

 

È utile, a questo punto, riassumere schematicamente i motivi principali intorno a cui si muoverà la ricerca e la propaganda dell’Archivio:

-         la pertinenza delle popolazioni preistoriche e protostoriche atesine alle culture padane;

-         le tracce della romanizzazione con particolare attenzione a quelle toponomastiche;

-         il dominio nel Medioevo della Chiesa tridentina sulla valle dell’Adige e la subordinazione ad essa dei conti di Tirolo, quali suoi advocati;

-         le testimonianze artistiche comprovanti gli influssi meridionali nella regione;

-         la costante presenza nei secoli di un ceto mercantile italiano, soprattutto riguardo alle fiere bolzanine;

-         le testimonianze di viaggiatori del passato che mettono in luce l’italianità del paesaggio, del clima, dei costumi;

-         la presenza demografica italiana nel tratto atesino, a Bolzano e tra Bolzano e Merano, intensificatasi nella seconda metà dell’Ottocento e sottostimata dai censimenti austriaci;

-         il recupero in chiave nazionale di ogni aspetto del mondo ladino (dalla lingua e toponomastica alle canzoni popolari).

 

 

Dall’Archivio all’Alto Adige

 

Passare dal concetto tolomeiano di Alto Adige a quelli che ne furono gli storici sviluppi, significa passare dall’analisi di un modello teorico di rivendicazione geopolitica ai dati concreti delle vicende di questa terra e delle sue popolazioni, dai mutamenti amministrativi e territoriali a quelli politici e sociali intervenuti attraverso due guerre mondiali e due dittature e poi ancora attraverso un lungo e difficile percorso che ha portato all’attuale modello autonomistico dell’Alto Adige/Südtirol. E vuol dire anche passare dall’univocità e fissità di una teoria alla mobilità di un concetto che si sviluppa e si modifica conformandosi alle circostanze storiche e a più soggetti.

 

Se il clima interventista e bellico permette alla frenetica attività di Tolomei di mietere numerosi successi nel diffondere le sue teorie, i primi ostacoli si presentano già dopo l’armistizio. Il confine del Brennero (promesso dagli alleati già nel patto di Londra del 1915 con l’indicazione di “Tirolo cisalpino”) non sembra più essere in discussione e il nome di “Alto Adige” è ormai usato, ufficializzato e diffuso in Italia; tuttavia per tutto il periodo del governatorato militare (novembre 1918 – settembre 1919) e del commissariato generale civile (fino all’ottobre 1922) l’immagine dell’Alto Adige coincide, nell’opinione pubblica e nel dibattito politico, con quello della presenza di una forte e compatta minoranza tedesca.

 

Ne è esempio la posizione di non pochi esponenti politici e intellettuali che sarà chiamata sprezzantemente “rinunciataria” (o “salornista”). Individuando il confine etnico-linguistico alla stretta di Salorno essi consigliano di rinunciare, con garanzie di smilitarizzazione e di sicurezza al confine del Brennero, all’annessione forzata di una comunità estranea in tutto e per tutto a quella nazionale.     

Tra le innumerevoli ipotesi di assetto regionale che vengono avanzate e discusse, prima dell’istituzione della provincia unica di Trento (1923), ve n’è addirittura una che rappresenta, come concetto, l’esatto contrario dell’Alto Adige tolomeiano: una provincia di Bolzano cui vengano sottratte le valli ladine e la zona mistilingue della Bassa Atesina, per renderla omogeneamente tedesca, e cui si possa concedere l’auspicata autonomia.

Con l’ascesa al potere di Mussolini comincia invece per la popolazione sudtirolese il lungo periodo dell’oppressione snazionalizzatrice. Dal fascismo l’immagine dell’Alto Adige è sfruttata inizialmente come uno dei tanti esempi della “vittoria mutilata” e come cavallo di battaglia propagandistico contro la debolezza dei governi liberali. La famosa “marcia su Bolzano” (2 ottobre 1922), con la destituzione del sindaco Perathoner e le dimissioni del Commissario generale della Venezia Tridentina Credaro, entra subito nella vulgata fascista. Essa viene presentata non solo  come una “riconquista” dell’Alto Adige, che stava per essere perduto da una politica rinunciataria, ma anche come prodromo al riscatto nazionale. È dalla frontiera, resa finalmente sicura verso l’esterno, che la rivoluzione fascista si dirige verso il centro (Roma) per la palingenesi dell’intera nazione. 

I “provvedimenti per l’Alto Adige”, annunciati da Tolomei in un programmatico discorso (15 luglio 1923), vogliono “spalancare le porte all’italianità che sale e che s’afferma naturalmente” e sono diretti senza esplicitamente all’assimilazione in campo toponomastico, scolastico, associativo, professionale, etc.

 

Nel 1927 viene istituita la provincia di Bolzano che crea una sorta di “linea diretta” con Roma, scavalcando così la mediazione trentina nella politica di italianizzazione. La nuova ripartizione amministrativa fa “perdere” alla provincia di Bolzano l’intero mandamento di Egna. Secondo Mussolini deve così “scomparire l’idea della stretta di Salorno come confine”. I vantaggi economici tuttavia non si fanno attendere. Il governo stanzia per la nuova provincia cospicui finanziamenti, suscitando un duraturo malcontento dei trentini, dai quali qualche anno prima era venuta la proposta di mutare il nome di “Alto Adige” in “Alto Trentino”. 

L’assimilazione della popolazione è tentata anche attraverso la modernizzazione dell’economia. Negli anni Trenta l’intensa politica di opere pubbliche (centrali elettriche, dighe, strade, riassetto urbano del capoluogo, etc.) e l’insediamento della grande industria hanno il duplice obiettivo di mutare, almeno in parte, l’immagine rurale e tedesca dell’Alto Adige e di promuovere in modo massiccio l’afflusso italiano in provincia. Decine di migliaia di immigrati, provenienti dalle più varie e spesso più povere regioni d’Italia, trovano lavoro nelle fabbriche e nei cantieri e si stabiliscono permanentemente in provincia accrescendo il gruppo italiano nei centri principali; per la maggioranza di essi “Alto Adige” è simpliciter il nome della terra dove hanno trovato nuove prospettive di vita.    

 

Gli anni Trenta terminano tristemente con la riproposizione di alternative laceranti: geografia-storia, Volk-Heimat, deutsch oppure walsch, partire o restare. Ancora una volta questa terra vive il suo intrinseco dramma tra frontiera geografica e frontiera etnica. Dopo l’Anschluss l’alleanza tra la Germania nazista e l’Italia fascista consacra il Brennero come “confine che la Provvidenza ha posto tra i due popoli”, secondo le parole di Hitler. A contribuire alla massiccia opzione per la Germania è soprattutto la propaganda nazionalsocialista con delle promesse spesso contraddittorie. Una di queste dice che se i sudtirolesi opteranno compatti il Führer chiederà il Sudtirolo a Mussolini. Fin dal 1927 Hitler aveva invece espresso chiaramente il concetto che la sorte di 200.000 sudtirolesi non avrebbe intralciato la futura alleanza con l’Italia.

L’opzione del 1939 è formalmente libera ed individuale; di fatto si trasforma in un plebiscito nazionale, la cui contropartita è l’abbandono della Heimat. I risultati rappresentano un fallimento per la politica e il prestigio del governo fascista. Vi è invece una significativa affinità nell’interpretazione dell’intera operazione da parte della propaganda nazista e di Tolomei: entrambi parlano di “Rückwanderung”.

Le conseguenze delle opzioni sono interrotte dalle vicende belliche. Dal settembre 1943 al maggio 1945 la provincia di Bolzano, insieme con quella di Trento e di Belluno, fa parte della Zona di Operazioni delle Prealpi (Operazionszone Alpenvorland) sotto la guida di un Commissario Supremo, il Gauleiter di Innsbruck. Si tratta de facto di una annessione al Reich e per il Sudtirolo di una riunione al resto del Tirolo che annulla il confine del Brennero. È significativo il provvedimento del Gauleiter che restituisce alla provincia di Bolzano i comuni della Bassa Atesina e quelli di Cortina d’Ampezzo e Livinallongo. Vengono inoltre reintrodotte la lingua e la toponomastica tedesca. 

In questo periodo, caduta la facciata “italianissima” della provincia, la popolazione italiana si trova isolata e scopre la fragilità delle sue radici, sperimentando per la prima volta la presenza antagonistica dell’altro gruppo. “Alto Adige” è il nome del quotidiano in lingua italiana che nasce nei primi giorni del dopoguerra.

 

 

Alto Adige/Tiroler Etschland, Alto Adige/Südtirol

 

Nel gennaio 1948, nell’imminenza del varo dello Statuto di Autonomia della Regione Trentino Alto Adige, uno degli argomenti principali dell’incontro richiesto da una delegazione della Südtiroler Volkspartei al presidente del consiglio dei ministri italiano, Alcide De Gasperi (trentino ed ex suddito della i.r. Monarchia) è il nome ufficiale della provincia che formerà, insieme al Trentino, la nuova Regione autonoma. La proposta iniziale dei rappresentanti sudtirolesi è quella di rendere ufficiale la forma tedesca “Südtirol” e, per la forma italiana, sostituire il nome “Alto Adige” con “Tirolo meridionale” o “Tirolo del Sud”. De Gasperi risponde che l’assemblea Costituente non accetterebbe un’indicazione che intrinsecamente evocasse l’unione col Tirolo austriaco. Viene avanzata allora la controproposta di “Tirolo Atesino” al quale si affiancherebbe in lingua tedesca “Tirol an der Etsch”. Per una buona mezz’ora i nomi del fiume e del castello si intrecciano in svariate, complicate forme, che sono emblematiche delle difficoltà future.

Il primo statuto di autonomia, che assegna un ruolo centrale alla Regione Trentino-Alto Adige (Trentino-Tiroler Etschland) rispetto alle due Province di Trento e Bolzano che la compongono, entra in crisi già dopo pochi anni. Il “Los von Trient”, la stagione del terrorismo e il ricorso all’O.N.U. portano a periodi di tensione, e talvolta di mobilitazione, in entrambi i gruppi. Sugli striscioni e sui cartelli delle manifestazioni i nomi di “Alto Adige” e “Südtirol” si caricano di significati identitari.

 

È verso la fine degli anni Settanta che nella storiografia e nella pubblicistica di lingua italiana, sia locale sia nazionale, comincia a comparire la definizione di “sudtirolese” (il Palazzi/Folena e lo Zingarelli lo datano al 1983, il Sabatini/Coletti lo anticipa al 1955). Il termine si riferisce alla popolazione di lingua tedesca della provincia di Bolzano, fino allora definita generalmente “altoatesina” o “atesina”, con l’eventuale aggiunta di “tedesca” o “di lingua tedesca”.

Allo stesso tempo “Sudtirolo” comincia ad essere usato per indicare il territorio della provincia in relazione al gruppo di lingua tedesca. Col secondo statuto d’autonomia (1972) “Südtirol” era divenuto finalmente denominazione ufficiale in lingua tedesca. Alla diffusione nella lingua corrente della sua forma italianizzata contribuisce anche il rafforzamento dell’immagine identitaria del gruppo sudtirolese dopo il secondo statuto; esso disegna un nuovo quadro di competenze politico-amministrative, prima detenute dalla Regione o dallo Stato, che trasformano profondamente molti ambiti della vita culturale, economica e sociale locale.

Accanto all’indicazione ufficiale e convenzionalmente onnicomprensiva di “Alto Adige”, la flessibilità nella lingua italiana corrente del distinto uso dei termini “Alto Adige” e “Sudtirolo”, “altoatesino” e “sudtirolese”, sembra rimandare ad un generalizzato riconoscimento della “diversità” di rapporto da parte dei due gruppi linguistici col medesimo territorio e con la sua storia. (A margine: sarebbe interessante indagare sul fatto che in lingua tedesca non esista invece alternativa alla definizione un po’ burocratica di italienischsprachige Südtiroler o a quella tradizionale e popolare di Walsche).

 

A dispetto della natura aggressiva con cui venne teoricamente elaborato e imposto nell’età dei nazionalismi, il concetto di Alto Adige ha compiuto lungo tutto il secolo un percorso di “depotenziamento” semantico, trasformandosi e adeguandosi alle nuove situazioni di fatto. Oggi soltanto nelle polemiche più strumentali e in un distorto uso pubblico della storia, di esso viene evocato l’antico, tolomeiano progetto nazionalistico. Nell’uso e nella ricezione più comuni e diffusi il concetto odierno di Alto Adige appartiene ad una geografia antropica finalmente screvra da finalità rivendicative, associato anzi all’immagine di una terra plurilingue, di incontro e di convivenza.

 

 

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Geschichte und Region / Storia e Regione 9 (2000)

 

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 Autor: Carlo Romeo

Bibl.: Romeo, Carlo, Der Fluß im Schatten der Burg. „Alto Adige“ – eine Begriffsgeschichte, in: Tirol – Trentino: eine Begriffsgeschichte / semantica di un concetto, (“Storia e Regione / Geschichte und Region”, 9, 2000), S. 153-170.

 

 

 

 

Der Fluß im Schatten der Burg.

„Alto Adige“ – eine Begriffsgeschichte

 

von Carlo Romeo

 

 

 

Solang der Bach und der Fluss nach unten fließen,

habe ich Recht. Sollte es geschehn,

dass der Fluss und der Bach einmal nach oben fließen,

werde ich sagen, dass ich mich irre und Du Recht hast.

(E. Tolomei, Un sequestro dell’“Archivio”)

 

 

Der Geburtsakt

 

Die Vaterschaft des Begriffes „Alto Adige“ im heutigen Verständnis wird in der Regel Ettore Tolomei zugeschrieben, der auf seine Ausarbeitung, Verbreitung und Anwendung sämtliche Anstrengungen seiner vielfältigen Tätigkeit als Gelehrter, Politiker, Organisator, Journalist und Polemiker konzentrierte. Die Bezeichnung Tolomeis als „Mann, der den Alto Adige erfand“, wie sie Maurizio Ferrandi im Untertitel seines Buches über den Roveretaner verwendet, ist daher voll gerechtfertigt. Erst mit der Gründung der Zeitschrift „Archivio per l’Alto Adige“ (1906) beginnen sich Bezeichnung und Begriff an den Universitäten, Akademien und in der Publizistik des Königreichs Italien zu verbreiten. Zur Bestätigung dieser von Tolomei bis in seine letzten Schriften stolz beanspruchten Vaterschaft mag der einleitende Satz zum Lexikonartikel „Alto Adige“ in der Enciclopedia Italiana (1929) genügen: „Von Ettore Tolomei 1906 eingeführte und seither in Italien allgemein verwendete Bezeichnung für dem oberen Abschnitt der Etsch, von der Salurner Klause bis zur geographischen Grenze Italiens.“ Noch eindringlicher formuliert es der von Antonio Zieger 1937 verfaßte Artikel der Enciclopedia über Tolomei selbst: „Ihm gelang es noch vor dem Ersten Weltkrieg, bei der Nation seine Vorstellungen [über das Alto Adige] in der heutigen geographischen Begriffsbedeutung durchzusetzen.“

 

Wenn also das Geburtsdatum und die Vaterschaft des Begriffes gemeinhin außer Frage stehen, so ist doch der Bezugsrahmen für diese tolomeische Synthese weit komplexer: Hier fließen verschiedene theoretische Elemente aus dem Mittelalter, dem Humanismus, der Aufklärung und dem Risorgimento ein, die von der Trentiner Kultur des Irredentismus in der zweiten Hälfte des 19. Jahrhunderts aufgenommen wurden. Die Entstehung des geographisch-politischen Begriffes Tolomeis fällt zeitlich zusammen mit dem Höhepunkt des Nationalitätenkonfliktes innerhalb des Kronlandes Tirol-Vorarlberg, als sich die von „Welsch-Tirol“, dem Trentino, erhobenen Forderungen nach einer konkreten Autonomie oder gar einer Abspaltung von Innsbruck die aggressive Politik der Deutschtiroler nationalen Vereine gegenüberstanden. Kampffeld dieser nationalen Auseinandersetzung waren vor allem die gemischtsprachigen Gebiete, wie der sogenannte Tratto Atesino zwischen Bozen und Salurn, das Etschtal zwischen Bozen und Meran und die ladinischen Täler; jene Gebiete also, die eine Übergangs- und Kontaktzone zwischen italienischem und deutschem Sprachraum bilden und seit jeher für die für den Alpenraum charakteristische Nachbarschaft zwischen verschiedenen kulturellen Identitäten stehen.

Das „Alto Adige“ entsteht also im Kontext nationaler Forderungen innerhalb Tirols an der Wende vom 19. zum 20. Jahrhundert, auf der Grundlage älterer Elemente, die Tolomei radikal in einen geopolitischen Begriff umprägt, der die Theorie von den natürlichen Grenzen mit Anregungen aus den Theorien Friedrich Ratzels verbindet.

 

 

Natur und Politik; Geographie und Geschichte

 

In seinem literarischen Dialog „Il Centone“, der in seinen späten Jahren in Rom (1949) erschien, an dem er aber seit seiner Jugend gearbeitet hatte, legt Ettore Tolomei die grundlegenden Stränge seiner Theorie einer seiner Figuren (Francesco Ferrucci) in den Mund, der als Rolle eine Art Apologie der Geographie zugewiesen wird („eine positive und gleichsam moralische Wissenschaft“). Deren unumstößliche Gesetze müßten demnach höher angesetzt werden als jene der Geschichte, da diese als Ergebnisse weniger einschneidender und von Menschen geprägter Umbrüche einem Wandel unterliegen: „Die Geographie bildet die Grundlage für das Schicksal der Städte und Völker. Ich habe mich stets mit Hingabe der Geschichte gewidmet, mir sind dabei aber nie Ereignisse untergekommen, die nicht grundlegend mit geographischen Gegebenheiten zusammengehängt hätten: Die Meere, Kontinente, Inseln, Berge und Ebenen, die Flüsse, das Klima, die Früchte der Natur, also alles, was Gegenstand der Geographie ist. Es ist daher die Geographie als ‚magistra vitae‘ der Völker zu betrachten, während die Geschichte lediglich eine Folge geographischer Faktoren ist.“

 

Der von Tolomei vertretene Primat der Geographie gegenüber der Geschichte leitet uns über zum Primat der Natur gegenüber der Politik, wie ihn einige Trentiner Intellektuelle des 18. Jahrhunderts aus dem Umkreis der 1750 gegründeten Accademia Roveretana degli Agiati vertraten. Am Höhepunkt der Aufklärung hatte das Trentiner prä-nationale Bewußtsein seinen theoretischen Ausdruck vor allem in der Unterscheidung zwischen „Natur“ im Sinne einer an tiefere Schichten rührenden und authentischen kulturellen Identität, die ihren Ausdruck vor allem in der Sprache fand, und „Politik“ im Sinne einer sekundären, an der Oberfläche bleibenden und von den Zufällen der Geschichte diktierten Identität gefunden. Die Trentiner sollten sich daher als politisch zu Tirol zugehörig betrachten, von der Natur her aber als Italiener. Die zur Untermauerung der Italianität vorgebrachten Argumente waren unterschiedlicher Natur, sie wurden im folgenden Jahrhundert alle weiterverwendet, ausgefeilt und schließlich auch von Tolomei voll rezipiert. Dazu zählen die italienischen Bräuche und Sitten, die Zugehörigkeit des südlichen Alpenabschnitts zu Italien seit der Zeit der römischen Provinzen (Regio X), die wirtschaftlichen und kulturellen Bindungen zur Poebene, die „Italianità“ des Hochstiftes Trient, während die Grafen von Tirol als Hochstiftsvögte lediglich dessen Vassallen waren.

 

Das Roveretaner Erbe Tolomeis und zugleich seine bewußte und deutliche Distanznahme von den Theoretisierungen eines Vannetti und eines Baroni Cavalcabò im 18. Jahrhundert erhellt aus dem Vergleich zweier Gedichte. In einem bekannten, 1790 verfaßten Sonett hatte Clementino Vannetti, der Nachfolger seines Vaters Valeriano an der Spitze der Accademia degli Agiati, dem Bologneser Schauspieler Antonio Morocchesi auf dessen Frage, ob Rovereto in Tirol liege, mit deutlich satirischen Spitzen den Unterschied zwischen italienischer und tirolischer Identität zu erklären versucht.

 

Regola geografico-morale

 

Del Tirolo al Governo, o Morocchesi,

Fur queste valli sol per accidente

Fatte suddite un dì: del rimanente

Italiani noi siam, non Tirolesi!

 

E perché nel giudizio dei paesi

Tu non la sbagli con la losca gente

Che le cose confonde e il ver non sente

Una regola certa io qui ti stesi.

 

Quando in parte verrai dove il sermone

Trovi in urlo cangiato, orrido il suolo,

Il sole in Capricorno ogni stagione,

 

Di manzi e carrettieri immenso stuolo,

Le case aguzze e tonde le persone,

Allor dì francamente: Ecco il Tirolo!

 

Geo-moralische Regel

Mein lieber Morocchesi, der Zufall wollte es, daß diese Täler einst der Herrschaft Tirols unterworfen wurden: so sind wir doch Italiener, keine Tiroler! Und damit du die Länder erkennst und du dich nicht irrst wie die kursichtigen Leute, die die Dinge durcheinanderbringen und die Wahrheit nicht erkennen, habe ich Dir hier eine sichere Regel geschrieben:

Kommst du an einen Punkt, wo nicht mehr geredet, sondern geschrien wird, die Landschaft abstossend, das Klima Winter wie Sommer kalt und hart ist, sich Ochsen und Kaerner endlos reihen, die Häuser spitz und die Leute rund sind, dann weißt du genau: du bist in Tirol.

 

Eineinhalb Jahrhunderte später widmet Tolomei Vannetti ein Sonett, in dem er ihm gewissermaßen „per le rime“ die neue Situation darlegt, d. h. die Wiederherstellung des „bel sermone“ (der italienischen Sprache) bis zur natürlichen Grenze Italiens, und dies wurde ermöglicht durch einen „concetto nuovo“, einen neuen Begriff (nämlich Alto Adige).

 

A Clementino Vannetti

 

Il nome di Tirolo, o Clementino,

varcato ha il monte, designa il paese

dal qual nei tempi l’Asburgo discese.

L’Austria finì! Quel nome è transalpino.

 

Apprendi, o mio genial concittadino,

nuovo concetto che la Patria estese

e reca pace dopo tante offese: 

due genti paghe del confine alpino!

 

Torna, o Vannetti, torna il bel sermone.

Da valle a monte riguadagna il suolo.

Ride sereno il ciel, d’ogni stagione,

 

ai rurali d’Italia, «immenso stuolo»,

arnesi in spalla e aduste le persone.

Alto Adige è qua, di là Tirolo.

 

An Clementino Vannetti

Mein lieber Clementino, der Name Tirol hat den Berg überschritten, er bezeichnet das Land, von dem einst die Habsbuger herunterkamen.Österreich hatte ein Ende. Dieser Name ist jenseits der Alpen beheimatet.

Lerne, o du mein weiser Mitbürger, den neuen Begriff der das Vaterland erweiterte und der Frieden bringt nach vielen Schlägen: zwei mit ihrer Alpengrenze zufriedene Völker!

O Vanetti, die schöne Sprache kommt wieder, vom Tal zum Berg gewinnt sie an Boden zurück, der Himmel ist den Bauern zu jeder Jahreszeit freundlich gesinnt, „endlos reihen“ sich sehnige Leute mit dem Werkzeug über ihren Schultern.

Alto Adige ist auf dieser Seite und Tirol auf der anderen.

 

Der „neue Begriff“, von dem Tolomei spricht, konnte nicht Teil von Vannettis Gedankengut sein. Das „Alto Adige“ ließ die Sprachgrenze mit der geographischen zusammenfallen, es hat dem Vaterland ein naturgegebenes Territorium („confine alpino“), ein gelobtes Territorium („ride sereno il ciel“), ein vitales Territorium („riguadagna il suolo“) beschert.

 

 

Das Dipartimento dell’Alto Adige

 

In napoleonischer Zeit gewinnt das nationale Bewußtsein des Trentino deutlichere Konturen. Dazu tragen verschiedene Faktoren bei, darunter die Säkularisierung des Hochstiftes Trient (1803), das nun zur Gänze an das Land Tirol angegliedert wurde. Es ist kein Zufall, daß der Begriff „Trentino“ als Konkurrenzbegriff zu „Tirolo italiano“ gerade in diesen Jahren (1806) in den Intellektuellenzirkeln in Trient und Rovereto auftaucht. Die drei Jahre (1810–1813) dauernde Herrschaft des napoleonischen Regno d’Italia über weite Teile der Region war von nachhaltiger Wirkung und spielte eine zentrale Rolle bei den späteren nationalen Forderungen. In dieser Zeit wird „Alto Adige“ auch erstmals als offizielle politisch-administrative Bezeichnung verwendet.

 

„Nachdem dieser ganze Gebietsabschnitt, der jetzt das Dipartimento dell’Alto Adige bildet, zu Tirol geschlagen und verschiedentlich von deutschen Fürsten regiert worden war, so gilt dem Großteil seiner Bewohner ein Lob dafür, daß sie über mehrere Jahrhunderte jene erste Sprache zu wahren wußten, das ja seit jeher jene des ganzen restlichen Italien war. Mit Freude verkünde ich ihnen daher, daß diese geschätzte Sprache von nun an offizielle Landessprache sein wird, die in allen öffentlichen Schreiben als einzige zu verwenden sein wird.“

 

So lautet einer der ersten „Avvisi“ im Dipartimento dell’Alto Adige des Regno d’Italia. Der neue Landesnamen wird mit zwei präzisen Konnotationen versehen: Die erste ist politischer Natur und beansprucht für das Territorium eine historische Scheidung vom Tirol der „deutschen Fürsten“. Die zweite ist ethnisch-sprachlicher Natur und stellt die Anerkennung des Italienischen als „erster Sprache“ der Einsässigen dar, die dem über lange Zeit wirksamen Verdrängungsdruck des Deutschen standgehalten hatte.

 

Nach napoleonischem Usus erhielten die Verwaltungssprengel den Namen des jeweils bedeutendsten Flusses. Über drei Jahre verschwindet so der „politische“ Name des Stammschlosses der Grafen, die dem Territorium den Namen gegeben hatten, aus dem offiziellen Gebrauch. Ab diesem Moment konnte diese vom Hauptfluß abgeleitete Territorialbezeichnung eine politisch-laizistische – so mit der 1886 von Trentiner Liberalen gegründeten Zeitung „Alto Adige“ – oder eine explizit nationale Bedeutung – so bei Tolomei – erhalten. Bei Ausbruch des Krieges 1915 begründete der Roveretaner im Rückblick die Bedeutung des gewählten Namens mit folgenden Worten: „Die Bezeichnung [Alto Adige] beruht auf einem streng geographischen Begriff. Nicht zuletzt deshalb erschien sie ohne jede ideelle Bedeutung; vielmehr bestand ihre Kraft gerade in der Ordnung der natürlicher Gegebenheiten, die stets die historischen Ereignisse und die Schicksale der Völker determinieren [...]. Tirol ist kein Ländername, es ist weder ein geographischer noch ein ethnischer Name; es ist lediglich ein politischer Name, es ist Vertreter einer politischen Form, die sich überlebt hat.“

 

Neben der geographischen Prägekraft wies der Fluß gegenüber dem Schloß auch eine bis auf den Beginn des Spätmittelalters zurückreichende historische Tradition als Territorialbezeichnung auf, d. h. bis in die Zeit, wo sich in den Urkunden für die terra inter montes eine etwas präzisere Bezeichnung findet. Über Jahrhunderte hatte es eine gewisse Konkurrenz zwischen der geographischen Bezeichnung nach dem Hauptfluß, der das Territorium auf mehreren Ebenen, auf wirtschaftlicher, kultureller und siedlungsgeschichtlicher Ebene, prägte und der offiziellen und politischen Bezeichnung der Grafschaft gegeben. Der Verweis auf die Etsch (in partibus Athesis, terra Athesis etc.) bezeichnete jedenfalls das Land südlich des Alpenhauptkammes unter Ausschluß der Hochstiftsterritorien von Brixen und Trient. Diese Unterscheidung findet sich in militärisch-administrativer Sicht auch in der Amtsbezeichnung capitaneus ad Athesim (Hauptmann an der Etsch) wieder, dem die Verteidigung des Landes oblag.

 

Was nun den Namen Tirol betrifft, so wurde die damit verbundene Vorstellung eines einheitlichen Territoriums bis in die Neuzeit durch die beiden reichsrechtlich eigenständigen Hochstifte Trient und Brixen beeinträchtigt. Deren Säkularisierung und Inkorporierung in das Land Tirol (in der Folge des Vertrages von Paris vom 26. Dezember 1802 und des Reichsdeputationshauptschlusses vom 25. Februar 1803) schien die Bildung eines einheitlichen großen Territoriums zu beiden Seiten des Alpenhauptkammes endgültig zu besiegeln. Aber im Lauf von nicht einmal drei Jahren war der Name Tirol wiederum von der Landkarte verschwunden. Im Frieden von Preßburg (26. Dezember 1805) war Tirol an das mit Napoleon verbündete Königreich Bayern gefallen, das südlich des Brenners als Verwaltungssprengel den Kreis „An der Etsch“ errichtete.

 

Wenige Tage nach der Erschießung Andreas Hofers in Mantua zeichnete der Vertrag von Paris vom 28. Februar 1810 die Grenzen zwischen dem Regno d’Italia und dem Königreich Bayern neu. Obwohl der Vizekönig von Italien, Eugen de Beauharnais, von Napoleon den Alpenhauptkamm als Grenze („la limite tracée par la nature même“) gefordert hatte, einigte man sich angesichts bayerischer Widerstände auf die sogenannte napoleonische Linie. Die neue Grenzlinie verlief durch das Etschtal zwischen Meran und Bozen und bei Klausen im Eisacktal. Das Dipartimento dell’Alto Adige umfaßte somit das Trentino und den Bezirk Bozen. Buchenstein, Ampezzo und Toblach wurden dagegen zum Dipartimento del Piave (Belluno) bzw. zu den Illyrischen Provinzen geschlagen.

 

Dieses neue Territorialgefüge wurde bereits 1813 mit der erneuten Besetzung durch die Habsburger und der Wiedererrichtung Tirols (dem auch die eben abgetretenen Bezirke rückgegliedert wurden) wieder jäh aufgelöst. Die Erinnerung an die drei Jahre des Dipartimento dell’Alto Adige wurde für manche Trentiner Intellektuellenkreise Inhalt eines nationalen Kults.

 

 

Das Risorgimento

 

Zu den zwischen Tirol und Wien bestehenden Spannungen kam im Laufe des 19. Jahrhunderts zunehmend eine intellektuelle Profilierung der Distanz zwischen Trentiner und Tiroler Identität, letztere wurde politisch weitgehend vom deutschen Element monopolisiert. In den vierziger Jahren kam es zu einer historisch-literarischen Auseinandersetzung, die im Rückblick von italienischer Seite als Vorläufer der Enstehung des Begriffes Alto Adige gesehen wurde. Der Historiker Giuseppe Frapporti hatte in seiner Abhandlung „Storia e condizione del Trentino nell’antico e nel medio evo“ (1840) auch eine Karte der Region veröffentlicht, auf der der Alpenhauptkamm mit Bezug auf das 9. Jahrhundert die Grenze zwischen „Italien“ und „Deutschland“ bezeichnet. Weiters werden darauf das Eisack-, das Pustertal und der Vinschgau als „Trentino superiore“ bezeichnet, wobei die geographische Grenze mit folgender Bemerkung kommentiert wird: „Diese Region [das Trentino] reicht von der Veroneser Klause bis zum Brenner und den Gletschern des Alpenhauptkammes [...] Die auf diese Seite der Alpen versetzten Deutschen sind Deutsche in Italien und haben sich als solche zu bezeichnen und wenn Brunopoli [Bruneck] auch keine italienische Stadt ist, so liegt sie doch in Italien [...] dasselbe gilt für das Eisacktal und den Vinschgau nach den grundlegenden Begriffen der natürlichen Trennung.“

 

Ausgehend von den mittelalterlichen Ortsnamenformen befürwortet Frapporti auch als erster eine italienische Revision der deutschen Ortsnamen an der Südseite des Alpenhauptkammes. Die strategisch-militärisch bedeutende orohydrogeographische Grenze – sie war seinerzeit nicht zufällig von den napoleonischen Generälen betont worden – wird sehr bald zum Leitmotiv der Theoriebildung.

Auf italienischer Seite war es nicht schwierig, exempla und auctores der Vergangenheit ausfindig zu machen und anzuführen, die die Auffassung von den Alpen als Bollwerk und natürlicher Grenze der Halbinsel vertraten, und zwar von den Autoren der Antike (Polybios, Cicero, Livius) über die Dichter des Spätmittelalters (Dante, Petrarca) zu den Humanisten (Biondo, Piccolomini, Pincio). Auf diesen literarischen Topos von den „mal vietate  Alpi“ (Foscolo) rekurrieren auch die Aufrufe der Protagonisten des Risorgimento, die während der Unabhängigkeitskriege die Forderung nach dem Trentino mit der nach der natürlichen Grenze verbanden. Giovanni Prati fordert in der „Ode a Carlo Alberto“ (1847) den König von Piemont dazu auf, die „Hand hart nach dem Brenner auszustrecken, um den Fremde zu dessen friedlichen Überschreiten [in Richtung Norden] zu veranlassen.“ 1848 weist Carlo Cattaneo die lombardischen Freiwilligen auf den Brenner „als künftiger Grenze, die Gottes Hand vom Anbeginn an Italien gesetzt hatte“ hin. In dieselbe Kerbe schlägt Luciano Manara: „Italien wird nicht frei sein, solange nicht die Trikolore auf dem Brenner weht; und wir müssen sie dort einpflanzen. Im übrigen ist es eine sakrosankte Aufgabe, auch jenen Teil Italiens zu evangelisieren“. Wesentlich detaillierter in der strategischen Begründung ist die Bemerkung von Maurizio Quadrio, dem Sekretär von Mazzini (1849): „Das südliche Tirol (Tirolo meridionale) gehört zu Italien. Das südliche Tirol ist vom deutschen Tirol durch die Hauptkette der Rätischen Alpen getrennt, die eine klarere und sicherere Grenze als jene der Karnischen Alpen am oberen Isonzo darstellen, sicherer als die Grenzen, die viele europäische Staaten trennen. Höchster Gipfel- und Scheidepunkt ist der Brenner.“

 

Giuseppe Garibaldi spricht 1860 von einem „Marsch auf die Alpen“ und die Erreichung des Alpenhauptkammes ist das deklarierte Ziel der italienischen Delegierten zu den Bündnisverhandlungen mit Preußen (1866). Unter den zahllosen Stellungnahmen herausragender Vertreter des italienischen Risorgimento verdienen die Bemerkungen Giuseppe Mazzinis besonderes Interesse: Indem er sich unmittelbar nach dem Dritten Unabhängigkeitskrieg für die Annektierung der gesamten Südabdachung der Alpen stark machte, führte Mazzini nicht nur strategische, sondern – auf der Grundlage tendenziöser Informationen – auch ethnisch-linguistische, physiogeographische und wirtschaftliche Argumente ins Treffen. Es fehlt auch nicht der Hinweis auf die leicht durchzuführende eventuelle Assimilierung der deutschsprachigen Minderheit: „Unser, wenn es je unser Land war, ist das Trentino, unser bis über Brunopoli [Bruneck] hinaus, bis zur Kette der Rätischen Alpen. Dort sind die Inneren Alpen, unser sind die Gewässer, die von dort herabfließen, in die Etsch münden und in den Venetischen Golf entwässern. Auch die Natur und die südlichen Kulturpflanzen sind uns und dem fremden Reisenden – im Gegensatz zum Inntal – Ausdruck Italiens [...] Italienisch sind die Wirtschaftsbeziehungen, italienisch die natürlichen Verbindungslinien des Kommunikationssystems und italienisch ist die Sprache: auf 500.000 Einwohner sind lediglich 100.000 deutschen Stamms, nicht kompakt siedelnd und leicht zu italianisieren [...] Pforte Italiens, weitläufiges, von der Natur geschütztes Glacis, muß man das Alto Adige halten, um Sicherheit zu erringen, denn dort bündeln sich sämtliche Militärstraßen; es bildet gleichsam einen Keil zwischen der Lombardei und Venedig.“

 

Auf der anderen Seite erhielt Tirol als Folge der Grenzveränderungen zwischen Italien und Österreich 1866 die neue Rolle als Vorposten des Deutschtums. Diese schlug sich in erster Linie im Kampf gegen den „Drang aus dem Süden“ nieder, primäre Ziele waren zunächst die vollständige Germanisierung der Ladiner und die Eindämmung der Zuwanderung und Ansiedlung von Italienern im Etschtal und in Bozen. Es war ein stilles und zermürbendes Ringen, in das vor allem die alldeutschen und die nationalistischen italienischen Vereine verwickelt waren, das den Klerus spaltete und das den Alltag breiter Kreise und nicht nur der Intellektuellen mitprägte. In diesem Ringen bediente man sich von allem Anbeginn an rhetorischer Elemente, die „Schutzheiligen“ der jeweiligen kulturellen Tradition blieben nicht verschont. Dem Bozner Walther-von-der-Vogelweide-Denkmal (1889) wurde in Trient ein Dante-Denkmal entgegengestellt (1896). Die Autonomie des Trentino blieb dabei trotz mehrerer Projekte eine ungelöste Frage. Immer breitere Schichten der deutschtirolischen und der Trentiner Öffentlichkeit wurden empfänglich für die Aufrufe zu (politischer) Mobilisierung. Der Versuch, in Innsbruck eine italienische Rechtsfakultät zu errichten (ein kleines Zugeständnis in der sich seit 1866 hinziehenden offenen Universitätsfrage für das Trentino), scheiterte 1904 an gewalttätigem Widerstand. Der nationale Kampf hatte bereits in den Universitätshörsälen, in den Schulen, Akademien und Kulturvereinen Fuß gefaßt, er fand seinen Niederschlag ebenso in archäologischen Sammlungen, historischen, literarischen und toponomastischen Abhandlungen und vor allem in der Geographie. „Das geographische und ethnographische Wissen ist eine politische Kraft“ hatte Friedrich Ratzel geschrieben. Seine Axiome fanden gegen Ausgang des Jahrhunderts bereite Aufnahme, wurden vulgarisiert und auf verschiedene Situationen angewandt. Aus Anthropogeographie wurde Geopolitik. In diesem Klima „entwirft“ Tolomei das Alto Adige.

 

 

Das „Archivio per l’Alto Adige“

 

„Das Archivio befaßt sich mit jenem weiten Gebiet nördlich des eigentlichen Trentino, jedoch diesseits der Alpen, mit dem Hauptort Bozen, das, obwohl unzweifelhaft geographisch zu Italien gehörig, bislang von den Forschungen und Studien zur Beschreibung und Geschichte der Halbinsel ausgeschlossen geblieben ist. Es ist an der Zeit, daß dieser Teil italienischen Bodens, im Gegensatz zu allen anderen Teilen, aufhöre, von den Italienern, selbst von den gebildetsten Köpfen, weiter zu Unrecht ignoriert zu werden, während dazu zahlreiche aufwendige fremde Veröffentlichungen erscheinen.“

 

So beginnt Ettore Tolomei sein Vorwort zum ersten Jahrgang seiner Zeitschrift „Archivio per l’Alto Adige“ (1906). Der Umschlag zeigt eine Karte des Alto Adige mit einer Schraffierung, die dessen Ausdehnung anzeigte und dieses damit vom Trentino abhob, vor allem aber mit einer durchgehenden Linie, die den Alpenhauptkamm weit stärker betonte als die Grenze zwischen der k. u. k. Monarchie und dem Königreich Italien, die lediglich mit einer punktierten Linie gezeichnet war. Die Karte verwies an und für sich bereits auf ein kämpferisches Ziel nationaler Gebietsansprüche und wurde in der Folge von den österreichischen Behörden zensuriert, wie auch ganze Nummern der Zeitschrift selbst. Die Kontakte Tolomeis zur italienischen akademischen Welt, vor allem in Florenz und Rom, und zu kulturellen Vereinigungen wie der Società Dante Alighieri sicherten der Zeitschrift seit ihren Anfängen Beiträge und Bürgschaften (beispielsweise vom Glottologen Isidoro Graziadio Ascoli, dem Verfasser der „Saggi ladini“).

 

Bereits mit den ersten Nummern wurde der Rahmen der Forderungen und des Begriffes Alto Adige abgesteckt. Die beiden Hauptaxiome von der oro-hydrographischen Einheit, die die Täler des Gebietes bildeten, und seiner geographischen Zugehörigkeit zu Italien ergänzte Tolomei mit weiteren Elementen aus gesamtitalienischer Dokumentation und zwar aus Archäologie, Geschichte, Kunstgeschichte, Volkskunde, Musik, Literatur, Wirtschaft und Demographie. In ihrer Gesamtheit zielten diese Elemente nicht nur auf die Dokumentation einer bedeutenden italienischen Präsenz zum gegebenen Zeitpunkt in jener Region, sondern vor allem – und dies ist charakteristisch für Tolomei – darauf, die anthropogeographisch deutschen Merkmale des Landes zu kippen, die – aus seiner Sicht – auf eine rezente Germanisierung zurückzuführen waren. Die Spuren der Latinität dienen im Rahmen dieser Vorstellung als Bestätigung für den anthropogeographisch natürlichen Drang des italienischen Elements zum Alpenhauptkamm.

 

Führen wir uns zusammenfassend noch einmal die thematischen Leitmotive der Forschung und Propaganda des „Archivio“ vor Augen:

-         Zugehörigkeit der ur- und vorgeschichtlichen Populationen im Etschtal zu den Kulturen der Poebene;

-         Spuren der Romanisierung unter besonderen Berücksichtigung der topographischen;

-         mittelalterliche Herrschaft des Hochstiftes Trient im Etschtal und Unterordnung seiner Vögte, der Grafen von Tirol;

-         künstlerische Zeugnisse als Beweis für den südlichen Einfluß in der Region;

-         ständige Präsenz einer italienischen Kaufleuteschicht über Jahrhunderte, vor allem auf den Bozner Messen;

-         ältere Reiseberichte, die den italienischen Charakter der Landschaft, des Klimas und der Sitten betonen;

-   italienische demographische Präsenz im Unterland, in Bozen und Meran, die sich in der zweiten Hälfte des 19. Jahrhunderts verstärkt hatte und von den österreichischen Volkszählungen niedriger angesetzt worden war;

-         Wiedergewinnung aller Aspekte ladinischen Lebens für die nationale Sache (von der Sprache über die Toponomastik bis zu den Volksliedern).

 

 

Vom „Archivio“ zum Alto Adige

 

Will man vom tolomeischen Begriff Alto Adige übergehen auf die historischen Entwicklungen, so bedeutet dies den Übergang von der Analyse eines theoretischen Modells geopolitischer Forderungen zu den konkreten Daten der Wechselfälle dieses Landes und seiner Bevölkerung, von den administrativen und territorialen Veränderungen hin zu den politischen und sozialen, die aufgrund zweier Weltkriege und zweier Diktaturen und weiters aufgrund einer langen und schwierigen Ereigniskette, die zum heutigen Autonomiemodell Alto Adige/Südtirol geführt hat. Es bedeutet ferner den Übergang von der Eindeutigkeit und Starrheit einer Theorie hin zu der Flexibilität eines Begriffes, der sich entwickelt, verändert und sich den historischen Umständen und mehreren Subjekten anpaßt.

 

Während der frenetischen Aktivität Tolomeis im Interventions- und Kriegsklima bei der Verbreitung seiner Theorien zahlreiche Erfolge beschieden waren, stellten sich die ersten Probleme bereits unmittelbar nach dem Waffenstillstand ein. Die Brennergrenze (die die Verbündeten bereits im Vertrag von London 1915 unter der Bezeichnung „zisalpines Tirol“ zugestanden hatten) schien nicht mehr zur Diskussion zu stehen, die Bezeichnung Alto Adige hatte sich in Italien offiziell durchgesetzt und war verbreitet. Dennoch fällt die Vorstellung vom Alto Adige während der gesamten Zeit des Militärgouvernements (November 1918–September 1919) und des zivilen Generalkommissariat (bis Oktober 1922) in der öffentlichen Meinung und der politischen Diskussion zusammen mit der Präsenz einer starken und kompakten deutschsprachigen Minderheit.

 

Bezeichnend ist etwa die Position nicht weniger politischer und intellektueller Exponenten, die in der Folge abwertend als „rinunciataria“, also etwa Verzichtspolitik (oder „salurnistisch“) bezeichnet werden wird. Indem diese die ethnisch-sprachliche Grenze an der Salurner Klause festmachen, plädieren sie – gegen eine entsprechende Entmilitarisierungsgarantie und die Sicherung der Brennergrenze – für einen Verzicht auf die gewaltsame Annexion einer der nationalen völlig fremden Volksgruppe.

 

Unter den zahllosen noch vor der Errichtung der Provinz Trentino 1923 vorgebrachten und diskutierten Modellen zur regionalen Sprengeleinteilung gibt es sogar eines, das dem tolomeischen Alto Adige geradezu zuwiderläuft: eine Provinz Bozen ohne ladinische Täler und die gemischtsprachige Zone des Bozner Unterlandes, um sie homogen deutsch zu halten und ihr die in Aussicht gestellte Autonomie gewähren zu können.

 

Mit der Machtübernahme durch Mussolini beginnt für die Südtiroler Bevölkerung dagegen die lange Zeit der entnationalisierenden Unterdrückung. Vom Faschismus wird das Bild des Alto Adige anfänglich als eines der zahlreichen Beispiele für den „verstümmelten Sieg“ (vittoria mutilata) und als propagandistisches Schlachtroß gegen die schwachen liberalen Regierungen eingesetzt. Die berüchtigte „marcia su Bolzano“ (2. Oktober 1922) mit der Absetzung von Bürgermeister Perathoner und dem Rücktritt des Generalkommissars für die Venezia Tridentina, Luigi Credaro, findet umgehend Eingang in den faschistischen Mythenschatz. Sie wird nicht nur präsentiert als eine „Wiedereroberung“ des Alto Adige, das durch eine Verzichtspolitik beinahe verlorengegangen wäre, sondern auch als Vorläufer der nationalen „Wiedereroberung“. Die faschistische Revolution richtet sich von der nunmehr nach außen hin endlich gesicherten Grenze hin auf das Zentrum (Rom) zur „Wiedergeburt“ der gesamten Nation.

Mit Hilfe der „Maßnahmen für das Alto Adige“, die Tolomei in einer programmatischen Ansprache verkündete (15. Juli 1923), sollten „die Pforten für die aufsteigende und sich natürlich durchsetzende Italianità weit geöffnet werden“; sie zielten auf die Assimilierung auf toponomastischer, schulischer und beruflicher Ebene, beim Vereinswesen etc.

 

1927 wird die Provinz Bozen errichtet, somit unter Umgehung der Trentiner Vermittlung bei der Italianisierungspolitik eine Art direkter Draht nach Rom geschaffen. Mit dem neuen Verwaltungssprengel verliert die Provinz Bozen den gesamten Bezirk Neumarkt. Nach Mussolini soll auf diese Weise „die Vorstellung von der Salurner Klause als Grenze verschwinden“. Die wirtschaftlichen Vorteile lassen jedoch nicht lange auf sich warten. Die Regierung stellte für die neue Provinz erhebliche Finanzmittel bereit und erregte damit einen dauerhaften Unmut der Trentiner, von denen wenige Jahre zuvor der Vorschlag der Umwandlung der Bezeichnung „Alto Adige“ zu „Alto Trentino“ gekommen war.

 

Die Assimilierung der Bevölkerung wurde auch über die Modernisierung der Wirtschaft versucht. In den dreißiger Jahren verfolgte die Politik intensiver öffentlicher Bauten (Elektrizitätswerke, Staudämme, Straßen, urbanistische Neugestaltung der Provinzhauptstadt etc.) und der Ansiedlung großer Industriebetriebe den doppelten Zweck, das ländliche und deutsche Erscheinungsbild des Alto Adige wenigstens teilweise zu verändern und den starken italienischen Zustrom in die Provinz zu fördern. Zehntausende von Zuwanderern aus den unterschiedlichsten und häufig ärmsten Regionen Italiens fanden Arbeit in den Fabriken und auf den Baustellen, ließen sich auf Dauer in der Provinz nieder und vergrößerten damit die italienische Volksgruppe in den bedeutendsten Zentren. Für die Mehrheit von ihnen ist „Alto Adige“ schlicht und einfach die Bezeichnung für das Land, wo sich für sie neue Lebensperspektiven eröffneten.

 

Am Ende der dreißiger Jahre sahen sich viele tragischerweise wieder mit schmerzlichen Alternativen konfrontiert: Geographie – Geschichte, Volk – Heimat, „deutsch“ oder „walsch“, gehen oder bleiben. Es wiederholt sich das dieser Region gleichsam „innewohnende“ Drama zwischen geographischer und ethnischer Grenze. Nach dem „Anschluß“ anerkennen die beiden Bündnispartner, das nationalsozialistische Deutschland und das faschistische Italien, den Brenner als nach den Worten Hitlers „von der Vorsehung für die beiden Völker gezogene Grenze“. Zur massiven Option für Deutschland trug vor allem die nationalsozialistische Propaganda mit ihren häufig widersprüchlichen Versprechungen bei. Eine davon besagt, falls die Südtiroler kompakt optierten, würde der „Führer“ von Mussolini Südtirol fordern. Seit 1927 hatte Hitler dagegen klar erklärt, daß das Schicksal von 200.000 Südtirolern eine künftige Allianz mit Italien nicht beeinträchtigt hätte.

Die Option von 1939 erfolgt formal frei und persönlich; in Wirklichkeit verwandelt sie sich in ein nationales Plebiszit, dessen Folge das Verlassen der Heimat ist. Die Ergebnisse sind eine Niederlage für die Politik und das Prestige des faschistischen Regimes. Es besteht dagegen eine signifikante Affinität in der Bewertung der Gesamtaktion zwischen der nationalsozialistischen Propaganda und Tolomei: beide sprechen in diesem Zusammenhang von „Rückwanderung“.

 

Die Folgen der Option werden von den Kriegsereignissen unterbrochen. Von September 1943 bis Mai 1945 ist die Provinz Bozen zusammen mit jenen von Trient und Belluno Teil der Operationszone Alpenvorland unter einem Obersten Kommissar, dem Gauleiter von Tirol-Vorarlberg. Es handelt sich dabei um eine de facto-Annexion an das „Dritte Reich“ und bedeutet für Südtirol eine Vereinigung mit dem Rest Tirols und die Aufhebung der Brennergrenze. Von Bedeutung ist dabei die Anordnung des Kommissars, mit der der Provinz Bozen die Gemeinden des Unterlandes und jene von Buchenstein und Ampezzo wieder angegliedert werden. Dazu werden die deutsche Amtssprache und die deutschen Ortsnamen wieder eingeführt.

Nachdem in diesen Jahren die „erzitalienische“ Fassade der Provinz abgebröckelt war, fand sich die italienische Bevölkerungsgruppe isoliert, zurückgeworfen auf ihre zerbrechlichen Wurzeln und das erste Mal wirklich konfrontiert mit der antagonistischen Präsenz der anderen Sprachgruppe. „Alto Adige“ ist der Name der italienischen Tageszeitung, die in den ersten Nachkriegstagen zu erscheinen beginnt.

 

 

Alto Adige/Tiroler Etschland, Alto Adige/Südtirol

 

Im Jänner 1948, unmittelbar vor der Verabschiedung des Autonomiestatuts für die Region Trentino Alto Adige, bildete die offizielle Bezeichnung der Provinz, die zusammen mit dem Trentino die neue autonome Region bilden sollte, eines der zentralen Themen der von einer Delegation der Südtiroler Volkspartei erbetenen Aussprache mit dem italienischen Ministerpräsidenten Alcide De Gasperi (einem Trentiner und ehemaligen Untertanen der k. u. k. Monarchie). Der anfängliche Vorschlag der Südtiroler Vertreter bestand darin, der deutschen Form „Südtirol“ offiziellen Charakter zu verleihen und die italienische Bezeichnung „Alto Adige“ durch „Tirolo meridionale“ oder „Tirolo del Sud“ zu ersetzen. De Gasperi antwortete, die Verfassunggebende Versammlung würde eine Bezeichnung, die eine Einheit mit dem österreichischen Bundesland Tirol impliziere, nicht akzeptieren. Als weiterer Vorschlag wird „Tirolo Atesino“ und als deutsches Pendant „Tirol an der Etsch“ ventiliert. Über eine gute halbe Stunde verschlingen sich der Name des Flusses und des Schlosses zu unterschiedlichsten, komplizierten Formen, die stellvertretend für die künftigen Schwierigkeiten stehen sollten.

 

Das erste Autonomiestatut, das der Region Trentino-Alto Adige (Trentino-Tiroler Etschland) gegenüber den beiden, sie bildenden Provinzen Trient und Bozen eine zentrale Rolle zuweist, gerät bereits nach wenigen Jahren in Krise. Das „Los von Trient“, die Jahre des Terrorismus und die Anrufung der UNO führen bei beiden Volksgruppen zu Spannungen und fallweise zur Mobilisierung. Auf den Spruchbändern und -tafeln der Demonstrationen gewinnen die Bezeichnungen „Alto Adige“ und „Südtirol“ identitätsstiftenden Charakter.

 

Ende der siebziger Jahre kommt in der nationalen und lokalen italienischen Geschichtsschreibung und Publizistik die Definition „sudtirolese“ auf (der Palazzi/Folena und der Zingarelli datieren sie mit 1983, der Sabatini/Coletti datiert sie auf 1955 zurück). Der Terminus bezeichnet die deutschsprachige Bevölkerung der Provinz Bozen, die bis dahin allgemein als „altoatesina“ oder „atesina“ mit den allfälligen Zusätzen „tedesca“ oder „di lingua tedesca“ bezeichnet worden war.

 

Gleichzeitig setzt auch der Gebrauch von „Sudtirolo“ als Bezeichnung für die Provinz mit Blick auf die deutschsprachige Bevölkerungsgruppe ein. Mit dem zweiten Autonomiestatut von 1972 war „Südtirol“ endlich zur offiziellen deutschen Bezeichnung geworden. Zur Verbreitung der italienischen Form in der Umgangssprache trägt auch die nach dem zweiten Statut gewonnene Stärkung der Identität der deutschen Sprachgruppe bei. Mit dem Statut werden politisch-administrative Zuständigkeiten, die zuvor Region und Staat hatten, neu verteilt, sie verändern die Bereiche des lokalen kulturellen, ökonomischen und sozialen Lebens nachhaltig.

Neben der offiziellen und konventionellen Bezeichnung „Alto Adige“ scheint die italienische Umgangssprache in ihrem unterschiedlichen Gebrauch der Termini „Alto Adige“ und „Sudtirolo“, „altoatesino“ und „sudtirolese“ auf eine verbreitete Anerkennung unterschiedlicher Zugangs- und Bezugsformen der beiden Sprachgruppen zum Land und seiner Geschichte zu verweisen. Nebenbei bemerkt wäre es interessant zu untersuchen, weshalb es im Deutschen keine alternativen Bezeichnungen zum etwas bürokratischen „italienischsprachige Südtiroler“ und dem traditionellen und volkstümlichen „Walsche“ gibt.

 

Trotz seines aggressiven Charakters, mit dem der Begriff Alto Adige in der Zeit der Nationalismen theoretisch begründet und durchgesetzt wurde, hat er über das gesamte 20. Jahrhundert eine semantische „Abschwächung“ erfahren, sich gewandelt und an die neuen Gegebenheiten angepaßt. Heute wird er lediglich in politisch instrumentalisierten Polemiken und bei mißbräuchlicher Verzerrung von Geschichte im nationalistischen Sinne Tolomeis verwendet. Die heute allgemein verbreitete Verwendung und Rezeption des Begriffes Alto Adige gehört in den Rahmen der Anthropogeographie, endlich frei von Forderungen und Ansprüchen, und ist vielmehr gekoppelt an die Vorstellung einer mehrsprachigen Region der Begegnung und des Zusammenlebens.

 

 

Literatur

 

Nell’Alto Adige, hrsg. von der Società per gli Studi Trentini, Trento 1921

 

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