Autore: Carlo Romeo
Rif. bibl.: Romeo, Carlo, Attese e malinconie in una città bifronte. Letterati italiani nella Merano degli anni Cinquanta, in: Prospettive di futuro - Meran 1945 – 1965 / Perspektiven der Zukunft - Meran 1945 – 1965, a cura di Markus Neuwirth / Tiziano Rosani, Merano 2012.
ATTESE E MALINCONIE IN UNA CITTÀ BIFRONTE
LETTERATI ITALIANI NELLA MERANO DEGLI ANNI CINQUANTA
di Carlo Romeo
La Merano di Luigi Serravalli
La significativa stagione artistica della Merano del dopoguerra registrò anche l’attivo coinvolgimento di alcuni letterati di lingua italiana. Nel suo glorioso passato, il Kurort sul Passirio era stato, pur con alti e bassi, punto di incontro della cultura d’élite e internazionale. La tradizione fu lentamente riconsolidata una volta superata l’emergenza bellica, che aveva trasformato Merano in una città-lazzaretto e in un “porto di mare”, come suona il suggestivo titolo di una recente ricostruzione storica (Valente 2005).
Di questa “ricostruzione” uno dei principali testimoni fu Luigi Serravalli (Bologna 1914-Rovereto 2002), egli stesso fine letterato, che seguì gli sviluppi della vita culturale meranese da un punto di vista privilegiato, cioè come addetto stampa della locale Azienda di Soggiorno. Intellettuale dai più svariati interessi, critico d’arte e di cinema, poeta e scrittore, Serravalli ci ha lasciato un vivido ritratto della Merano del dopoguerra in numerose, incisive pagine che si collocano tra la narrativa e la memorialistica. Sia La donna cava (2000) che A Merano in attesa di Ezra Pound (2002) sono ricostruzioni che vanno ben oltre la semplice cronaca. Esse restituiscono il clima sentimentale del contesto quale appariva all’occhio e al cuore di un giovane “padano giramondo”, assetato di incontri ed esperienze stimolanti. La sensazione maggiormente rappresentata da Serravalli sembra essere quella di un “contrasto” a più livelli. Merano (come in genere tutto l’Alto Adige) gli appare anzitutto nel suo “morfologico” contrasto tra le caratteristiche geografiche e climatiche settentrionali e quelle meridionali. Rapidi ma incisivi sono poi gli accenni al contrasto etnico, cioè alla convivenza, sempre precaria, tra due lingue e due culture. Vi è poi, a livello biografico, il contrasto (trattato con brillante autoironia) fra la propria situazione economica di insegnante in bolletta e il mondo “dorato” che si trova a frequentare come addetto stampa dell’Azienda di Soggiorno, tra corse di cavalli, hotel e automobili di lusso, concerti e ricevimenti. Su un piano storico, Serravalli evoca inoltre il contrasto fra la memoria delle tragedie mondiali appena trascorse e l’atmosfera decadente della rinnovata veste turistica della cittadina. Fortemente icastica è a riguardo la lirica Kursaal, con l’amaro sarcasmo della sua “battuta finale” (Serravalli 1963).
Orchestrina “fin siècle”
rovescia,
su di un “parterre”
di lanute befane
Strauss ed Ivanovich.
Lontano, solo un poco di fumo
da Auschwitz e Bergen-Belsen.
Tuttavia il contrasto più profondo sotto il punto di vista artistico è quello tra le due dimensioni culturali, i due “respiri” della cittadina passirese. Da un lato essa può apparire come un microcosmo chiuso, freddo e grigio, la periferia di due mondi (italiano e tedesco); dall’altro lato, essa può presentarsi come la porta di un “passaggio”, pur breve quanto un soggiorno turistico, che permette di gettare lo sguardo sul “grande mondo”. Ciclicamente Merano ospita grandi artisti, magnati, collezionisti, scrittori e pensatori. Questi incontri lasciano un’eco, in chi ne sa apprezzare il valore, che va molto al di là del fatuo fuoco dell’“evento”. Per questo la dimensione esistenziale raccontata da Serravalli coincide con quella dell’“attesa”. L’“attesa di Ezra Pound” diviene così metafora di tutta l’attività del cenacolo meranese di cui Serravalli si fa appassionato cantore; un gruppo informale, unito da una consonanza di intelligenza e sensibilità artistica, tra i cui protagonisti vi sono l’editore milanese Vanni Scheiwiller, la poetessa e traduttrice Mary de Rachewiltz (figlia del poeta americano), il poeta e pittore Antonio Manfredi, il direttore dell’Azienda di Soggiorno Giuseppe Maviglia.
La musa di Antonio Manfredi dal Tirreno al Passirio
Tra le figure animatrici di quella stagione culturale vi è Antonio Manfredi (Viareggio 1912-Merano 2001). Trasferitosi a Merano già nel 1939, si mise in luce nell’immediato dopoguerra vincendo il premio internazionale di poesia “Libera Stampa” di Lugano (1947), della cui giuria facevano parte i migliori nomi della critica italiana dell’epoca (Gianfranco Contini, Giansiro Ferrata, Carlo Bo). La motivazione ne metteva in luce “l’istanza d’assoluto” e la “distanza psicologica e linguistica dalla moda contemporanea”. Sette anni dopo uscì la sua prima raccolta lirica (Poesie) nella prestigiosa collana dello “Specchio” di Mondadori. Ciò che veniva unanimemente riconosciuto dai critici era il rigore applicato da Manfredi nella ricerca di essenzialità e precisione del linguaggio poetico. La raccolta si incentrava sul paesaggio viareggino, metafora del difficile rapporto con la propria infanzia e con le proprie radici (Mia zolla,/ un assente soffrire/ è la forza del tempo). Gli elementi concreti del paesaggio e della propria biografia venivano modellati e levigati nello sforzo di adattarli al processo del pensiero. Certamente dall’ermetismo Manfredi derivava il gusto della rarefazione, dell’espressione evocativa ed allusiva. Lo studio del paesaggio tirrenico richiamava a volte tratti montaliani. Ma l’originalità di Manfredi si rivelava pienamente nella lucidissima ricerca di un “miracoloso” equilibrio tra realtà e idea, tra il dato tangibile e il suo concetto mentale.
Nelle prime liriche il “presente” meranese dell’autore è apparentemente assente. Lo si può forse intuire come contraltare del paesaggio viareggino, rimpianto e “mitizzato” proprio perché lontano e perduto come la propria infanzia e giovinezza. Ma già in Annamaria (1961) il paesaggio meranese cominciava a svolgere una funzione poetica.
Quasi non più luce, nel sentiero
che scende al parco colmo di neve,
se non di fantasmi
d’alberi, o il Passirio
buio, ormai, come troppe forme dolci
che l’inverno ha spento.
Eppure la fiamma del giorno resiste
alta, sui monti
dove le ultime nubi riaccendono
cielo e speranza.
Dopo questa raccolta ebbe inizio un lungo silenzio poetico, durato più di vent’anni. Manfredi intensificò invece la propria attività pittorica, così affine a quella poetica nell’ostinata ricerca di essenzialità. Gli alberi e i monti di Manfredi sono stati definiti dei “paesaggi mentali” filtrati dal sogno e dal pensiero. L’ambiente meranese si sarebbe rivelato ormai parte integrante dell’ultima stagione poetica dell’autore, dalla raccolta Otto poesie (1985) fino a Itinera (1997);
Ti sei perduto tra questi
monti, dov’eri approdato
per caso, come uno spento
relitto? Chiedertelo
è già smentirlo!
Negli anni considerati, oltre che critiche d’arte (su Morlotti, Marcucci, Kuperion, Birolli), Manfredi pubblicò anche un libro di prose, Alto Adige segreto (1963). L’opera uscì in uno dei periodi più “caldi” della questione altoatesina, tra crisi diplomatiche e azioni terroristiche. Essa perseguiva una meta ambiziosa: illustrare al pubblico nazionale italiano gli aspetti culturali e sentimentali del problema, cioè dell’incomprensione tra i due gruppi etnici conviventi. Si tratta di un libro dall’equilibrio non sempre pienamente raggiunto. Le tematiche spaziano dal folclore alla cronaca politica e l’approccio risulta talvolta giornalistico, talvolta letterario. Ciononostante vi sono pagine di estrema raffinatezza in cui emerge l’attenzione poetica (e pittorica) al dettaglio e alla sfumatura psicologica, in particolare nei ritratti di personaggi e usanze in cui ogni minima caratteristica assume una risonanza metaforica ed esistenziale.
Premi Nobel raggiunti e mancati
Proprio grazie alla rete di amicizie di Antonio Manfredi, l’Azienda di soggiorno poté contare in quegli anni su letture e conferenze dei più importanti poeti italiani del momento. Tra gli ospiti più illustri vi furono Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo, entrambi in corsa per il premio Nobel. A lasciarci un acuto e sapido ritratto del “dietro le quinte” del loro passaggio meranese è ancora Serravalli. Quest’ultimo non esita a tratteggiarne i caratteri esteriori con esiti ironicamente canzonatori.
La lettura avvenne nel solito salone. Ungaretti leggeva a modo suo, forse pescando da lontane esperienze futuriste: sibilava, fischiava, sospirava, faceva versi seghettati e rantolanti. Si abbassava fino a un quasi inudibile pianissimo per poi sparare, di colpo, urli tremendi che facevano sobbalzare le vergini, acculate su seggioline falso Luigi XIV. A poco a poco ti trascinava da grande attore in un mondo altro, fra l’agonia e l’orgasmo, spiralando verso il grande lampadario tutto oro e bicchieri di Murano gli incanti dei suoi tremori, vergogne, abissi, speranze e denunce. (Serravalli 2000)
Molto più “acido” il ritratto di Quasimodo, sull’onda dell’acceso dibattito “poetico-politico” che investiva in quegli anni il poeta siciliano, soprattutto dopo il conferimento del premio Nobel (dicembre 1959). A dividere le opinioni v’erano i sospetti sull’autenticità della famosa “svolta” della lirica quasimodiana all’indomani della seconda guerra mondiale. Quello che era stato negli anni Trenta il principale alfiere della “lirica pura”, della dimensione “ermetica” della parola poetica era approdato nel dopoguerra alla riva opposta, al canto civile; secondo alcuni (tra cui lo stesso Ungaretti) soltanto per conformarsi alla moda imperante dell’engagement. Le pagine di Serravalli dedicate a Quasimodo restituiscono un chiaro riflesso del dibattito di allora. In appendice alla riedizione della raccolta Il falso e vero verde (1956) il poeta aveva pubblicato un suo intervento teoretico (Discorso sulla poesia) che aveva riproposto la necessità del “contenuto”, della partecipazione diretta del letterato alla storia e persino alla cronaca. Ciò aveva ovviamente suscitato le perplessità di chi si atteneva al rigore della ricerca del linguaggio poetico. Uno, insomma, come Manfredi.
Il poeta locale Von Manfred (Antonio Manfredi, ndr), grande lettore di Rilke, George e Trackl, sosteneva con buoni argomenti che il trinacrio non era poeta affatto, perché non sapeva cosa fosse la poesia e perché credeva che fosse poesia ciò che, in realtà, non lo era affatto. Quasimodo lesse le sue liriche in un grande salone tutto stucchi, ori e specchi. La gente era pochissima, quasi un insulto, tuttavia, le cose filarono lisce. Quello che forse non capiva Von Manfred era che i poeti non sono uguali, e possono essere benissimo antitetici. Quasimodo, nato in riva al Mediterraneo, aveva nel sangue un classicismo espressionista, così come la sua vita – un viaggio di Ulisse – era stata ricca di avventure e di amori. (Serravalli 2000)
Entrambi gli illustri poeti, Ungaretti e Quasimodo, sono poi descritti nell’intimità del “dopo spettacolo” al Wunderbar, l’elegante locale vicino al Kursaal frequentato dagli artisti locali e da quelli di passaggio. La graffiante penna di Serravalli ne coglie i tratti più prosaici e quasi caricaturali. Né manca un accenno al carattere proverbialmente vanitoso di Quasimodo e alle sue tattiche extraletterarie per accaparrarsi il Nobel.
Si bevve grappa locale, whisky, slivoviza e wodka, secondo i gusti. Quasimodo si scioglieva sempre di più, occhieggiando voglioso le ragazze più belle che seguono i poeti come le mosche. Sul tardi disse: “Vi faccio una confidenza, per ora tenetevela per voi: vincerò il Nobel”. Lo guardammo un po’ allibiti. La forza dello Schinkenhäger. Disse che lo sostenevano gli jugoslavi, che ce l’avrebbe fatta. Poco tempo dopo arrivò la sbalorditiva conferma. A parte Pound, poeti certo più grandi dell’etneo non avevano avuto nada de nada. Ma lui con la mafia serba, le traduzioni tempestive in serbo e in svedese e la poesia “sociale” li aveva fregati tutti e noi l’avevamo saputo in anteprima. (Serravalli, 2002).
Un editore internazionale
Come già accennato, una figura determinante nella promozione artistica locale fu Vanni Scheiwiller (Milano 1934-1999), erede e continuatore (anche per quanto riguarda il nome proprio) di una “dinastia” di editori. Il nonno paterno, Giovanni Scheiwiller, era stato a Milano uno dei più attivi collaboratori di Ulrico Hoepli, come lui di origine svizzera. Aveva così contribuito al successo di un casa che aveva segnato una svolta nell’editoria italiana, divulgando per la prima volta in Italia la “summa” di intere discipline, soprattutto tecnico-scientifiche, attraverso i suoi famosi “manuali”. A lui era seguito il figlio, Giovanni Scheiwiller (Milano 1889-1965). Grazie alle sue esperienze estere, questi era divenuto un “pilastro” della Casa libraria Ulrico Hoepli, fino a esserne nominato direttore. Nel 1936 aveva fondato anch’egli una piccola casa editrice (All’insegna del Pesce d’Oro), mirata a raffinate pubblicazioni d’arte e letteratura. Nel 1951 la affidò al giovanissimo figlio Vanni, sotto la cui direzione la casa milanese avrebbe pubblicato in quasi mezzo secolo più di tremila libri, divisi in una quarantina di collane. Negli anni Cinquanta e Sessanta Vanni Scheiwiller si distinse soprattutto per l’attenzione a poeti e scrittori collocati al di fuori dei gusti e delle mode imperanti.
Controcorrente era stata senz’altro la scelta di pubblicare nel 1954 Lavoro e usura di Ezra Pound, in cui il poeta americano ribadiva le sue controverse idee in campo economico (antimarxiste e anticapitaliste). Forse per questo Pound concesse al piccolo editore milanese il privilegio di pubblicare la prima edizione mondiale degli ultimi Cantos (Pound 1955). All’epoca egli si trovava ancora recluso nel St. Elizabeths Hospital di Washington e Scheiwiller si unì alle tante voci che al di qua e al di là dell’oceano ne chiedevano la liberazione. Nel 1958 essa arrivò e Pound si stabilì alla Brunnenburg di Tirolo, accanto alla figlia Mary e a suo marito, l’egittologo Boris de Rachewiltz; Vanni Scheiwiller ne fu uno dei più intimi frequentatori.
I numerosi soggiorni e i costanti contatti dell’editore con l’ambiente meranese contribuirono non poco al successo delle manifestazioni artistiche ivi promosse. Diversi artisti, anche locali, ebbero l’onore di veder pubblicata e “consacrata” la propria opera nei piccoli ma prestigiosi tascabili del “Pesce d’Oro”.
Bibliografia
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Milano (Mondadori), 1954
Manfredi 1961
Manfredi, Antonio, Alois Kuperion,
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Manfredi 1961
Manfredi, Antonio, Annamaria. Poesie e disegni,
Milano (All’insegna del pesce d’oro), 1961
Manfredi 1963
Manfredi, Antonio, Alto Adige segreto,
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Manfredi 1997
Manfredi, Antonio, Itinera
Milano (All’insegna del pesce d’oro), 1997
Pound 1954
Pound, Ezra, Lavoro ed usura - tre saggi,
Milano (All'insegna del pesce d'oro), 1954
Pound 1954
Pound, Ezra, Tre cantos; tradotti da Mary de Rachewiltz in collaborazione personale con l'autore,
Milano (All'insegna del pesce d'oro), 1954
Pound 1955
Pound, Ezra, Iconografia italiana di Ezra Pound. A cura di Vanni Scheiwiller, con una piccola antologia poundiana,
Milano (All'insegna del pesce d'oro), 1955
Pound 1955
Pound, Ezra, Section- Rock-drill - 85-95 de Los cantares,
Milano (All'insegna del pesce d'oro), 1955
Pruccoli 2001
Pruccoli, Rosanna, Merano 1945-1959. Frammenti di vita cittadina,
Merano (Corraini-Biblioteca Civica di Merano), 2001
Pulsoni 2011
Pulsoni, Carlo (a cura di), Vanni Scheiwiller editore europeo,
Perugia (Volumnia), 2011
Serravalli 1961
Serravalli, Luigi, Nostro esilio,
con una lettera di Ezra Pound, Padova (Rebellato) 1961
Serravalli 1963
Serravalli, Luigi, 42 poesie,
“Biblioteca del Cristallo” (Centro di Cultura dell’Alto Adige), Bolzano 1963
Serravalli 1998
Serravalli, Luigi, Bambinerie e massacri (1914-1922). Racconto in tre parti,
Centro di Cultura dell’Alto Adige, Bolzano 1998
Serravalli 2000
Serravalli, Luigi, La donna cava
Rovereto (Nicolodi Editore), 2000
Serravalli 2002
Serravalli, Luigi, A Merano in attesa di Ezra Pound,
Trento (Curcu&Genovese), 2002
Valente 2005
Valente, Paolo, Porto di mare (Frammenti dell’anima multiculturale di una piccola città europea, vol. III),
Trento (Temi Editrice), 2005