Giuseppe La Greca

Curzio Malaparte alle isole Eolie. Vita al confino, amori e opere

Prefazione di Gian Antonio Stella

 

2012 Edizioni del Centro Studi Eoliano

Centro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani

Via Maurolico, 15 - 98055 Lipari (Messina) e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

ISBN: 978 88 97088 011

 

 

Curzio Malaparte a Vulcano (da: La Greca 2012)

 

 

INDICE

 

Prefazione

di Gian Antonio Stella

 

Nota introduttiva

di Lina Paola Costa

 

Introduzione

 

Capitolo I - L’arresto

In viaggio verso Lipari

 

Capitolo II - Le Eolie negli anni di Malaparte - 1933 - 1934

 

Capitolo III - Lipari

Le visite Mediche - Caro Esilio - Senza titolo – Fedra - Il lebbroso di Lipari - La capra prigioniera - Sesta Sinfonia - L’otre di Ulisse - Epistola a Vincenzo Cardarelli - L’inglese in Paradiso Ovvero L’arte di diventare inglese

 

Capitolo IV – Flaminia

Brano – Donnamare - Donna sul prato - Nulla più mi resta di te

 

Capitolo V - In giro per l’isola

Quattropani - Canneto

 

Capitolo VI - Vulcano

Omertà - Madre che cerca il suo bambino - Caneluna

 

Capitolo VII - Vita a Marina Corta

Emigrazione - Mattino a marina corta - Alba Marina - Il Mare Ferito - Cani in riva al mare - Elegia dell’Alba

 

Capitolo VIII – Candido

Ulisse in Piazza – Scirocco - La Murena - L’isola di pietra galleggiante - Il pianto del mare

 

Capitolo IX – Febo

Cane come me - Febo Cane Metafisico - “La Pelle”

 

Capitolo X - Addio Lipari

L’Albero Vivo – Poesia - Idillio I - Idillio II - Sparse nel Vento - Idillio sesto - Ex-voto - Le Conchiglie - I Cani - Disteso fra i sepolcri - Non m’accontento più - Un tempo era l’orgoglio - Idilli e Inni Sacri

 

Capitolo XI - Appendice

Un Uomo a Lipari - L’isola dei Cani - Alba Marina - Febo Cane Metafisico

 

Capitolo XII - Una breve biografia

La morte di Curzio Malaparte dopo lunghe e gravi sofferenze - di Carlo Bo - Malaparte (1959) - di Indro Montanelli. Amare l’Italia significa saperne dire male

 

Conclusione - Una proposta - Bibliografia

 

 

 

Dalla PREFAZIONE

di Gian Antonio Stella

 

 

«Al libro, alla falce ed al martello / la borghesia tiranna ci strappò. / I ferri ai polsi, a bordo di un battello / sull’isola lontan ci relegò...»

Curzio Malaparte non avrebbe mai potuto riconoscersi, in quel «Canto dei confinati» che spicca tra le più belle canzoni clandestine nate sotto il tallone fascista.

Un po’ perché si riferiva in particolare ad Ustica, dove Antonio Gramsci avrebbe scritto per i suoi figlioletti quella meravigliosa favola ecologica che ruota intorno a un topolino che, per farsi perdonare da un bimbo malato cui ha rubato il latte, convince la montagna a dare le pietre al muratore e il muratore a riparare la fontana e la fontana a dare acqua e l’acqua a bagnare il prato e il prato a sfamare la capra col risultato che «il bambino ha tanto latte che si lava anche con il latte». Un po’ perché l’autore de «La pelle» finì a Lipari non perché comunista ma semmai perché, come spiega Giuseppe La Greca nel primo capitolo di questo libro, si considerava un fascista così perfettamente fascista da bacchettare i fascisti «ingrassati» dal potere come Italo Balbo.

In una delle strofe di quella meravigliosa canzone, però, avrebbe sì potuto ritrovarsi. Quella in cui i confinati rivendicano, nel loro esilio solitario, la fierezza di non essersi piegati: «Ed or sereni siam sulla scogliera / saldi nell’almo, con la fronte altera». L’aveva già scritto, del resto, nella cella di Regina Coeli dove, dopo il primo sconforto («Le idee mi si spappolano in testa… E se la prigione annullasse in me anche lo scrittore?») aveva confidato nero su bianco: «Non mi sono mai sentito libero come da quando sono entrato in prigione».

C’è da credergli: nel momento in cui tutti erano diventati fascisti e osannavano il Duce, quella condanna per «attività antifascista all’estero», se non avesse avuto in allegato un mucchio di problemi a partire dall’impossibilità di scrivere, non doveva poi dispiacergli troppo. In fondo era come se il regime gli avesse confermato la patente del cane sciolto. Patente alla quale teneva più che a qualunque altra cosa.

Come avrebbe raccontato anni dopo il comunista e amico fraterno Davide Lajolo a Massimo Fini in uno splendido ritratto sull’«Europeo», Malaparte «non seguiva mai una moda: ci arrivava prima. Poi, quando si accorgeva che arrivavano anche gli altri, si metteva a predicare l’opposto perché era un bastian contrario».

Nell’Italia indecisa sull’entrata in guerra non poteva essere che interventista (fino ad arruolarsi sedicenne nella Legione Garibaldina, inquadrata nella Legione straniera francese), nell’Italia liberale ammaccata di Giovanni Giolitti e di Luigi Facta non poteva che diventar fascista (anche se Piero Gobetti lo stimava tanto da pubblicargli «Italia Barbara»: «Pubblico il libro di un avversario ma riconosco in Curzio Suckert la migliore penna del fascismo»), nell’Italia fascistizzata non poteva che convertirsi antifascista, nell’Italia democristiana non poteva che essere comunista. Fino a convertirsi all’ultimo istante al cattolicesimo riponendo la sua anima nelle mani di padre Virginio Rotondi, un gesuita diventato famoso anni prima per una violenta invettiva in un cinegiornale della Incom contro l’ipotesi che il divorzio fosse inserito nella Costituzione: «Dichiariamo che il divorzio è un attentato contro Dio e contro la nazione!».

Se la conversione meravigliò il mondo intero, sbalordì su tutti Enrico Falqui: «Malaparte era un ribelle autentico. Non si faceva mettere il basto da nessuno, diavoli o santi che fossero». Un giorno andò a trovarlo alla Sanatrix dov’era ricoverato: «Di fianco, sotto la finestra, su una lunga e stretta mensola di marmo, erano allineati tutti gli idoli religiosi del mondo, da Budda a Cristo. Lo guardai meravigliato. “Curzio, che vuoi dire?”. “Eh, eh, chi m’aiuta m’aiuta”, ghignò lui. E io: “Senti, Malaparte, lo dico per scaramanzia, ma se ti trovassi veramente di fronte a Lui, chiunque egli fosse, cosa faresti, come te la caveresti?” E Malaparte: “Farei quello che ho sempre fatto: protesterei».

Certo, avrebbe confermato Lajolo infischiandosene dell’incoerenza, «l’uomo non è un robot. Malaparte in fondo ti fa capire che l’incasellamento, l’adagiarsi su schemi retorici, qualsiasi essi siano, è sempre sbagliato e che la vita va vissuta, ognuno ovviamente nei propri limiti, da primattore». Probabilmente, quel giorno in cui gli dissero che la sua destinazione era Lipari, tirò un sospiro di sollievo ricordando un reportage del grande Mino Maccari. Era stato lui stesso, quando era al timone della Stampa di Torino, dove era diventato direttore giovanissimo a 31 anni (persino Stalin a Mosca, avrebbe raccontato, l’aveva squadrato pensando «così giovane e direttore della Stampa!»), a mandare nel 1930 quel formidabile inviato speciale a farsi un giro tra i confinati. E dopo avere visitato Ponza, Maccari era appunto sbarcato con il piroscafo «Adele» nel porto di Lipari. […]