Uberto Bonetti: un futurista a Bolzano

 

Mostra dal 31.03.2012 al 24.06.2012

Presso la Galleria Civica di Bolzano, piazza Domenicani 18

Ingresso libero

Orari: da martedì a venerdì: 9.00-12.30 15.30-19.00

sabato e domenica: 10.00-18.00

lunedì chiuso

 

 

 

 

Città di Bolzano, Quaderni di Storia Cittadina 5

 

Uberto Bonetti (1909-1993), artista futurista viareggino, attivo come pittore, architetto, pubblicista, disegnatore di moda, scenografo cinematografico nel 1934 è in Trentino Alto Adige e a Bolzano, dove esegue molti studi e disegni della città 'moderna' che si stava allora costruendo a ritmo vertiginoso e dotando dei grandi monumenti voluti dal regime fascista, primo tra tutti il Monumento alla Vittoria, terminato nel 1928.

Nel 1936 Bonetti compie un secondo viaggio in Alto Adige. In questa occasione si dedica soprattutto a trarre spunti dai costumi tradizionali locali per la creazione di abiti e accessori per la Casa di Mode e Modellistica Villa di Milano.

La mostra presenta un'ampia panoramica della produzione di Bonetti degli anni Trenta. Le aeroviste di Bolzano, Merano, Trento e di alcuni paesaggi altoatesini, oltre agli studi dei costumi tradizionali locali sono per la maggior parte inediti e rappresentano pertanto un'importante occasione per conoscere un periodo di storia cittadina, tuttora controverso, attraverso gli occhi di un artista del tempo.

Mostra promossa ed organizzata dal Centro Studi e Ricerche Espressive di Pistoia in collaborazione con il Comune di Bolzano - Assessorato alla Cultura e alla Convivenza, Ufficio Servizi Museali e Storico-Artistici.

 

 

 

 

Da: Uberto Bonetti, Un futurista a Bolzano, a cura di Claudio Giorgetti e Silvia Spada Pintarelli, Quaderni di Storia Cittadina n. 5, Città di Bolzano/Archivio Storico, 2012, pp. 16-17.

 

 

 

U. Bonetti: Bolzano - Sintesi architettonica, 1934

 

 

 

 

 

Bonetti a Bolzano: viaggi di un futurista in Trentino Alto Adige

 

di Claudio Giorgetti

 

 

[…] Nel ciclo delle aeroviste dunque non potevano mancare città simbolo come Trento, Trieste e naturalmente Bolzano.

Nella primavera del 1934, dunque, Uberto Bonetti si risolve a compiere un viaggio nel Nord Italia. Attrezzato con tutto il suo armamentario artistico, bloc-notes, album, registri di computisteria, acquerelli,

tempere, oli, chine, penne, pennelli e macchina fotografica, si dirige verso il Trentino e l’Alto Adige, animato da una insaziabile curiosità e dal bisogno di vedere e verificare di persona quello di cui

tanto aveva sentito parlare. Perché di quei luoghi molto si era parlato e molto si stava ancora discutendo anche in territori vacanzieri come la Versilia, dove non erano pochi gli ospiti e i turisti provenienti da

quelle zone. Risalendo la penisola disegna particolari e scorci di città che serviranno a comporre le tavole per le aeroviste che va realizzando. Dedica particolare attenzione a Verona, cui riserva alcuni lavori evidenziando le arcate dell’Arena; si ferma sul lago di Garda dove, oltre a schizzare alcune

viste, scatta anche molte fotografie e compone una aerosintesi di Sirmione; poi prosegue per Rovereto, città di Fortunato Depero che Bonetti ben conosceva, e prosegue per Trento riempiendo i suoi bloc-notes di appunti grafici che serviranno successivamente alla realizzazione di molte tavole dedicate alla città. L’accento è posto sulle nuove architetture razionaliste che lo affascinano e lo interessano particolarmente sia come architetto, sia come ammiratore dei progettisti delle stesse.

Tra quelli che più apprezzava è doveroso ricordare Angiolo Mazzoni, bolognese di origini senesi e all’epoca divenuto l’architetto-ingegnere del Ministero delle Comunicazioni.

Alcuni studi di Bonetti sono dedicati anche alle case per ferrovieri realizzate dall’architetto lungo le linee altoatesine, a Chiusa (linea Verona–Brennero) nel 1927– 1928, e a quelle lungo le linee altoatesine vicino a Merano, sempre del 1927–1928.

Compiuti questi rilievi, Bonetti prosegue il suo viaggio e giunge a Merano, celebre luogo vacanziero frequentato ancora da una certe élite mitteleuropea. A Bonetti sono sempre piaciute le realtà frequentate

dall’aristocrazia, da personaggi famosi, dal “bel mondo”, luoghi caratterizzati da un certo lusso ma soprattutto da una certa eleganza che all’epoca, anche se non sempre, si coniugava anche ad un buon livello di cultura. A Merano sappiamo che si trovò a suo agio e qui realizzò molti schizzi e lavori più complessi. Passeggia lungo il Passirio, scatta fotografie, si reca alle corse al celebre ippodromo, esplora i dintorni visitando alcuni castelli. Poi si dirige verso Bolzano.

La città gli piace, lo affascina, lo coinvolge anche perché sta subendo un radicale cambiamento urbanistico che non riguarda tanto il nucleo storico, pregevole ed elegante e di cui subisce l’attrazione. Ma è verso la parte nuova in costruzione che dirige le sue attenzioni perché era quella di cui molto aveva sentito parlare. Nei suoi densi quaderni da disegno elabora molti studi, oggi dispersi presso vari collezionisti.

Schizzi sintetici riproducono l’insieme e i dettagli della stazione ferroviaria, anch’essa opera di Angiolo Mazzoni, dedicando una attenta analisi ai particolari architettonici e agli elementi decorativi, come la fontana alla base della torre dell’orologio, con la colonna con in cima san Cristoforo, protettore e patrono dei viaggiatori, presente in almeno due disegni di Bonetti, e anche al gruppo lapideo che raffigura i fiumi del territorio e cioè l’Adige, il Passirio, l’Isarco e la Rienza.

Un occhio di riguardo è riservato alle due statue collocate nelle nicchie esterne della facciata che simboleggiano le forze motrici, l’Elettricità e il Vapore, opere dello scultore austriaco Franz Ehrenhöfer del 1927–1928. Coglie anche qualche particolare delle vicinanze, come la Fontana delle Rane nella sua versione originale, opera del bolzanino Ignaz Gabloner del 1930; poi concentra la sua attenzione su ponte Druso progettato da Eugenio Miozzi, lo stesso che aveva progettato la statale del Brennero, i cui particolari dominanti erano le suggestive aquile in porfido rosso scolpite dal’anconetano Vittorio Morelli nel 1930–1931. Infine si dedica a una attenta analisi del monumento che più lo incuriosiva, di cui più aveva sentito parlare, di cui molto si era discusso, e cioè l’Arco alla Vittoria. Il Monumento alla Vittoria d’Italia, questa la sua esatta denominazione, fonte a tutt’oggi di interminabili discussioni ed insanabili dissidi, era stato ampiamente propagandato in tutta Italia attraverso articoli di giornale, fotoreportage, filmati. Tra questi uno dei più proiettati era stato certamente quello del 12 luglio 1928 dell’Istituto Luce e distribuito in partnership con la Metro Goldwin Mayer, dal titolo “A Bolzano inaugurazione del Monumento alla Vittoria d’Italia”.

All’inaugurazione, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III, parteciparono, tra gli altri, anche il Duca d’Aosta, il Duca degli Abruzzi, Costanzo Ciano, Italo Balbo. Forse anche da questi ultimi il giovane Uberto sentì parlare di quest’opera visto che li conosceva abbastanza bene.

Ma è anche probabile che altre voci gli arrivassero dagli architetti con i quali in

quegli anni collaborava come, a Pisa, l’ingegnere- architetto Federigo Severini e a Lucca l’ingegnere architetto Italo Baccelli. Quest’ultimo era attivo anche per l’Unione degli Industriali Lucchesi che donarono il marmo necessario per la realizzazione del monumento.

A questo si aggiunga che tra gli artisti impegnati nel lavoro vi erano due scultori toscani ben conosciuti da Bonetti: Arturo Dazzi e Libero Andreotti. Era quindi impossibile per il giovane rimanere indifferente di fronte ad un lavoro che aveva richiesto un concorso di energie creative di cui nel mondo dell’arte si era molto parlato.

L’opera poi, nel suo progetto generale, era firmata da un personaggio famoso e molto noto quale l’architetto Marcello Piacentini che qualsiasi studente o giovane laureato in architettura ben conosceva. […]