Autore: Giuseppe La Greca

 

Rif. bibl.: La Greca, Giuseppe, Le giornate di Filicudi. 26 maggio 1971, la prima rivolta contro la mafia in Sicilia, con prefazione di Pietro Grasso, Edizioni del Centro Studi Eoliano, Roma 2011.

 

 

G. La Greca, Le giornate di Filicudi, Centro Studi Eoliano 2011

 

 

 

Prefazione

di Pietro Grasso (Procuratore Nazionale Antimafia)

 

Era la mattina del 5 maggio 1971, giovane magistrato ventiseienne, appena assegnato alla Pretura di Barrafranca - Enna (immortalata da un mio illustre predecessore, il pretore Guido Lo Schiavo, nel romanzo "Piccola Pretura", dal quale il grande regista Pietro Germi aveva tratto uno dei primi film sulla mafia, dal titolo "In nome della legge"), fui raggiunto dalla ferale, sconvolgente notizia dell'assassinio del Procuratore della Repubblica di Palermo, Pietro Scaglione, che avevo conosciuto nel mio periodo di tirocinio presso il suo ufficio.

Rimasi colpito, sgomento, indignato dall'efferato delitto commesso in pieno giorno con modalità spettacolari, particolarmente violente e clamorose, che avevano coinvolto anche il suo autista, l'agente di custodia Antonino Lo Russo, approfittando vigliaccamente della rituale visita al cimitero dei Cappuccini, che il Procuratore ogni mattina rendeva alla tomba della moglie, e della particolare conformazione della Via dei Cipressi, particolarmente stretta, ideale per un agguato senza scampo.

La reazione dello Stato non si fece attendere: controlli a tappeto, posti di blocco, perquisizioni, arresti, provvedimenti di sorveglianza con divieto od obbligo di soggiorno. Il 24 maggio gli Eoliani si svegliarono leggendo sui giornali il ritorno di un passato che sembrava ormai seppellito dal tempo: Filicudi prescelta come soggiorno obbligato per quindici boss mafiosi. Dopo tanti anni di sforzi per aprirsi al turismo ed attrezzarsi per accogliere i sempre più numerosi visitatori che rimanevano ammaliati dalla bellezza paradisiaca dell'arcipelago, riappariva il fantasma del confino coatto, che alla fine degli anni venti aveva caratterizzato le isole come luogo di pena.

Chi erano questi mafiosi prelevati coattivamente dalle loro sedi di soggiorno obbligato nelle varie città della penisola, per essere inviati in isole dove fosse impossibile comunicare telefonicamente con la teleselezione automatica, già entrata in funzione nel "continente", al fine di impedire loro, attraverso i controlli conseguenti alle necessarie richieste di interurbane al centralino, di continuare a dirigere impunemente le rispettive cosche?

 

Erano componenti delle famiglie mafiose, tra i più noti John Bonventre, appartenente a Cosa Nostra Americana, sorpreso nel summit mafioso di Apalakin, e Gaetano Badalamenti di Cinisi, legati ai Greco di Ciaculli (davanti la cui casa era esplosa la "Giulietta" che aveva causato la morte di sette appartenenti alle Forze dell'Ordine) notoriamente avversi ai componenti delle famiglie vicine ai Torretta ed ai La Barbera, di cui, tra l'altro, taluni esponenti (17) erano stati "esiliati", già dal 20 maggio precedente, nell'isola di Linosa, tutti protagonisti della guerra di mafia che negli anni sessanta aveva insanguinato la città di Palermo.

 

Manifestazioni di protesta (maggio 1971)

 

Nelle pagine di questo interessante libro vengono ricordati i momenti più drammatici di una vicenda che resterà indelebile nella storia delle Eolie e della Italia tutta. Dapprima le barricate con le barche per impedire l'attracco al porto, poi i giorni e le notti all'addiaccio vissuti dagli abitanti di Filicudi per impedire gli sbarchi, in ciò aiutati con slanci di fraterna solidarietà dagli abitanti delle altre isole dell'arcipelago, che avevano occupato tutti gli alloggi disponibili, infine, dopo l'impiego di mezzi e truppe militari sufficienti a sconfiggere un nemico in tempo di guerra (motovedette, 250 tra carabinieri ed agenti di pubblica sicurezza in assetto di guerra contro 250 cittadini per la maggior parte vecchi, donne e bambini), la scelta della non violenza, della resistenza passiva, attraverso l'esodo di tutti gli abitanti a Lipari.

A Filicudi rimasero i militari ed i quindici mafiosi, completamente isolati dal mondo, ma, per di più, senza mezzi di sostentamento, senza la possibilità di un pasto decente, senz'acqua, senza luce elettrica, senza servizi igienici, senza giornali. Mai i boss si erano sentiti così "indesiderati" , anche per loro la situazione diventò insostenibile. La protesta era continuata con lo sciopero generale in tutte le Eolie e con i falò delle schede elettorali per le elezioni del 13 giugno. Soltanto dopo le formali promesse da parte del Presidente del Consiglio circa il loro spostamento altrove i Filicudesi tornarono gradatamente alle loro case ed alle loro attività.

E finalmente, allo scadere di un mese dall'inizio di questa storia, la battagli fu vinta: i mafiosi vennero trasferiti alla colonia agricola penale dell’Asinara. Per la prima volta lo Stato aveva dovuto fronteggiare una rivolta contro la mafia. Per la prima volta i mafiosi avevano sentito attorno il dissenso, la disapprovazione, la presa di distanza da parte di cittadini, che non volevano contaminare la loro terra dalla presenza mafiosa, ben consapevoli che dove arriva la mafia arriva lo sfruttamento delle risorse, l'inquinamento delle relazioni sociali, economiche e lavorative, la progressiva perdita di libertà e di democrazia.

Questo libro ha l’importantissima funzione di non far dimenticare, soprattutto alle giovani generazioni, questa pagina di eccelso e civile eroismo di un pugno di eoliani, che si ribellano alla mafia ed a tutto ciò che rappresenta. Perché la mafia è eclissi di legalità.

Perché la mafia attenta ai valori di democrazia, di giustizia, di verità e di libertà. Perché la mafia è violenza, sopraffazione, intimidazione, prevaricazione, collusione, corruzione, compromesso, contiguità complicità. Mentre ancora forte e diffuso è il rischio da parte dei cittadini, e dei giovani, in particolare, di un assordante silenzio, della disattenzione, dello sconforto, della rassegnazione, della rimozione di tutto ciò che è spiacevole, non bisogna dimenticare che la legalità è laforza dei deboli, delle vittime dei soprusi, delle violenze e dei ricatti del potere.

C’è sempre più bisogno di ricordare ai giovani che cultura della legalità è qualcosa di più della semplice osservanza delle leggi, delle regole; è un sistema di principi, di idee, di comportamenti, che deve tendere alla realizzazione dei valori della persona, della dignità dell'uomo, dei diritti umani, dell'impegno, della solidarietà, della tolleranza, dell’integrazione dei popoli, della non violenza, della pace, come metodo di convivenza civile.

Non abbassiamo la soglia della coscienza dell'illegalità. Bisogna urlare che non riteniamo giustificabile la corruzione, i favoritismi, i compromessi, l'intimidazione, la violenza, il finanziamento illegale della politica, la compravendita degli appalti, l'appropriazione dei finanziamenti pubblici, lo svuotamento delle casse delle aziende pubbliche, il taglieggiamento di quelle private.

Nel nostro Paese assistiamo ad una grave crisi della legalità: è venuto meno il sistema dei valori, il senso etico. Le notizie, i dati, le informazioni riportate dagli organi d’informazione ci parlano di cattivi esempi, che portano a cattive imitazioni.

L’unanime consenso, anche in aule parlamentari, ad invettive contro la magistratura; l'esplicita ammissione che le pratiche clientelari, l'occupazione delle strutture sanitarie, l'interesse nei rapporti economici e negli affari sul territorio costituiscono comportamenti normali a cui tutti si attengono; opere pubbliche generosamente finanziate, magari contese a colpi di tangente o di attentati, iniziate e mai completate con notevole spreco del danaro dei cittadini, tutto ciò costituisce certamente una  realtà disperante, fonte di pessimismo, ma può far nascere soltanto momenti di disarmo, di resa e di rassegnazione? Perché questo è il pericolo.

Purtroppo ancora si registra un diffuso senso di rifiuto da parte di tanti cittadini, tra i quali prevale un ragionamento del tipo: "lasciamo stare, non c'è niente da fare, la lotta alla mafia lasciamola alla polizia, alla magistratura!"

Così si corre il pericolo che il contrasto alla criminalità organizzata continui ad essere delegato a pochi eroi isolati, senza che la società si assuma le proprie responsabilità. È venuto il tempo di una nuova alleanza, una nuova solidarietà, fatta di coerenti messaggi educativi tra chi produce formazione, cultura e chi produce legalità. Bisogna ricostruire la democrazia e lo sviluppo con impegno di tutti: sia di coloro che rappresentano gli interessi dei cittadini nei partiti, nella politica, nelle istituzioni, nei sindacati, nei movimenti, nelle associazioni di categoria, sia con l'impegno dei singoli, degli stessi cittadini.

 

La rivolta corale della politica e delle istituzioni locali, unita alla voce del popolo eoliano nella liberazione di Filicudi dalla presenza della mafia, costituisce eterno esempio, convalidato da questo libro, secondo il quale la lotta contro la mafia non può essere ridotta ad una guerra tra buoni e cattivi, ma deve acquisire la dignità di un impegno per la conquista dei propri diritti, della libertà, della democrazia, di una maggiore giustizia sociale.

 

Filicudi 1971

 

 

 

Le giornate di Filicudi

di Giuseppe La Greca

 

 

Dal CAPITOLO IV pp. 50-53

 

25 maggio 1971

Martedì

Le prime notizie sul trasferimento dei mafiosi giungono a Lipari nella giornata del 24 attraverso delle indiscrezioni confermate il giorno successivo dalla “Gazzetta del Sud” che titola: “Filicudi prescelta come confino per quattordici boss mafiosi.” Per la seconda volta, a distanza di un anno, una ordinanza della magistratura che adotta mezzi repressioni contro la delinquenza organizzata, vede le Eolie penalizzate, condannate ad un passato che sembrava lasciato alle spalle. La popolazione dell’arcipelago rimane attonita, scioccata da questa decisione; la notizia ventilata il giorno prima e diffusasi quasi sommessamente, con la conferma della carta stampata ha l’effetto di un’esplosione. Le reazioni sono immediate, commercianti ed artigiani, quasi ubbidendo ad una sorta di ordine non dato da alcuno ma da tutti avvertito nell’animo abbassano le saracinesche dei propri negozi rifiutandosi da questo momento di lavorare, un lavoro inutile, se, come si teme, “nessun turista metterà più piedi nelle isole”; automaticamente, senza preventiva consultazione, ciascuno ha deciso per conto proprio di iniziare una protesta che non si placherà sino a quando non sarà deciso a livello governativo di revocare la disposizione di confinare a Filicudi i quindici mafiosi.

Lo sciopero generale nasce spontaneamente sotto la spinta dell’impeto popolare ancora memore dei coatti e della rivolta del 28 agosto 19261. Nell’isola si legge nello sguardo di tutti lo sbigottimento e l’incredulità per la “novità”. Nel giro di qualche ora incessantemente alcune macchine munite di altoparlanti iniziano a girare per le vie di Lipari preannunciando l’arrivo degli “sgraditi ospiti”. I negozi chiudono i battenti; tutte le attività sono paralizzate, quindi una enorme folla, forte di svariate centinaia di persone con a capo i componenti del comitato cittadino di agitazione sorto spontaneamente, si reca in Piazza Mazzini, sede del Palazzo Municipale, per parlare con il sindaco.

Il sindaco, Comm. Francesco (Checchino) Vitale, assicura di avere intrapreso contatti con gli organi responsabili affinché i provvedimenti adottati vengano revocati ed i quindici “illustri personaggi non mettano piede nella terra eoliana”. Il sindaco comunica, inoltre, subito dopo aver appreso la notizia, di aver inviato il seguente telegramma Al Ministero di Grazia e Giustizia, al Ministero del Turismo, al Ministero degli Interni: “confermando motivi esposti scorso anno, invoco ancora vivamente loro intervento per evitare destinazione isola di Filicudi inviati soggiorno obbligato, mentre arcipelago accoglie numerosi turisti. Popolazione è in agitazione e prevedo protesta cittadinanza tutta arcipelago che vede frustrati sforzi e sacrifici per attrezzarsi turisticamente”. “È stato convocato il consiglio comunale in seduta urgente straordinaria – dichiara il sindaco ad alcuni giornalisti della Gazzetta del Sud – ed in quella sede saranno adottati i provvedimenti che saranno ritenuti più idonei. Certamente il consiglio, così come ciascun abitante dell’arcipelago, non può far passare sotto silenzio questo ennesimo attentato alla vita delle Eolie. Ci sono voluti decenni per far dimenticare gli anni difficili del confino coatto che caratterizzavano le isole Eolie come un luogo di pena tenendo lontani i turisti ai quali, invece, lo abbiamo visto di recente, le isole piacciono al punto ce se ne innamorano. Ma abbiamo fatto uno sforzo che ora mi pare sarà frustrato da questo provvedimento”. Intanto le organizzazioni sindacali presenti a Lipari proclamano lo stato di agitazione, decidendone l’estensione nella giornata successiva a tutte le categorie dei lavoratori. Nel pomeriggio raggiungono Lipari i segretari provinciali della Cisl e della Cgil per dare la loro solidarietà ai lavoratori e per dare maggiore significato alla protesta degli abitanti dell’arcipelago. Gli stessi esponenti sindacali rendendosi conto del grave danno che ne deriverebbe all’economia dell’intera provincia decidono di estendere nell’ambito provinciale la manifestazione di protesta.

 

Gli abitanti di tutte le isole dichiarano che diserteranno le urne per le prossime competizioni elettorali del 13 giugno; gli eoliani vogliono dimostrare che non ripongono più alcuna fiducia nei confronti degli organi governativi e politici che invece di venire incontro per affiancare gli sforzi dell’iniziativa turistica, cercano di sopprimerla.

 

 

Due boss a Filicudi (1971)

 

Alle 18,00 si riunisce in seduta straordinaria urgente il consiglio comunale preceduto da una riunione di gruppo della DC nella stanza accanto a quella delle sedute del consiglio. Durante questa riunione, nella sala del consiglio, il pubblico dà segni di insofferenza, che per poco non si trasformano in incidenti con le forze dell’ordine: urla ed imprecazioni si levano contro chi ha deciso di inviare i mafiosi nelle isole. Qualcuno, per protesta, non vuole assolutamente placarsi. C’è stato chi si è sdraiato per terra. Nella piazza la folla, circa tremila persone che non possono trovare posto nella piccola sala consiliare, manifesta con il suono dei clacson il disappunto della cittadinanza. Il palazzo municipale rischia di trasformarsi in una polveriera. L’atmosfera particolarmente elettrica. Gli animi tesi. Poi l’inizio della seduta con una prolusione del sindaco, il quale mette al corrente il consiglio dell’iniziativa adottata dalla giunta e dai lui stesso ed ha poi annunciato la proclamazione dello sciopero generale in tutto l’arcipelago. Questo annuncio viene acconto da uno scrosciante applauso del pubblico. Il sindaco, infine, stigmatizza la decisione che “ferisce mortalmente le isole Eolie” con l’invio dei mafiosi ed annuncia che se non sarà revocato il provvedimento l’intero consiglio rassegnerà le dimissioni; lo stesso farà tutta la giunta. Un altro scrosciante interminabile applauso accoglie quest’altro annuncio.

 

Il consigliere Renato De Pasquale propone subito dopo un ordine del giorno che formalizza in documento le decisioni annunciate dal sindaco, documento che all’unanimità viene votato: “il consiglio comunale di Lipari, riunitosi in seduta straordinaria urgente a seguito del provvedimento di invio al soggiorno obbligato di un primo gruppo di mafiosi o presunti tali, dopo la relazione del sindaco e dopo ampio dibattito, all’unanimità delibera di sedere in permanenza fino a quando necessario; di impegnarsi alle dimissioni qualora il provvedimento dovesse essere mantenuto e gli ospiti indesiderati dovessero sbarcare a Filicudi; di aderire allo stato di agitazione indetto dalla popolazione da tutte le categorie economiche ed allo sciopero generale indetto dalle organizzazioni sindacali; di inviare telegraficamente copia di tale deliberato al Ministero degli interni, al Ministero di Grazia e Giustizia, al Ministero del turismo, al prefetto di Messina, alle segreterie regionali dei partiti politici per i provvedimenti e gli interventi di loro competenza”.

 

Il consiglio dopo il voto del documento viene sospeso, mentre rimane aperto in sessione straordinaria costantemente. Si riunirà anche ad un solo cenno per prendere quelle decisioni che saranno necessarie di volta in volta. Viene annunciata la trasferta per il giorno successivo a Filicudi. Nel corso della notte sarà noleggiato un aliscafo della s.a.s. per portare i consiglieri, alle prime luci dell’alba, a Filicudi. In città la situazione è molto tesa. I più anziani sono maggiormente preoccupati. “ho lavorato tanto – dichiara ai giornalisti – il commerciante Domenico Ziino, 68 anni – per mettere su un piccolo esercizio che vive solo di quel che danno i turisti. Ebbene non è possibile che mi venga ricompensato così questo duro ed onesto lavoro”.

“Ci siamo sempre comportati benissimo qui nelle isole – aggiunge il pescatore Bartolo Basile, 45 anni – per fare cancellare il ricordo tristissimo delle coscrizioni. Forse nessuno sa che quando c’erano qui i coatti non si poteva stare mai tranquilli, non soltanto perché i malviventi davano spesso origine a fatti di sangue fra di loro, ma anche perché il controllo delle forze dell’ordine era tale che nessuno poteva uscire fuori di casa senza essere controllato dagli agenti che chiedevano i documenti, il perché si stesse fuori dopo una certa ora della sera, dove si andava, insomma tutte quelle cose che si ripeterebbero ora con la presenza dei mafiosi a Filicudi, e che farebbero fuggire i turisti che non vogliono preoccupazione di sorta, né sentire il peso del coprifuoco”. 

“Avevamo realizzato una piccola repubblica del turismo – continua l’autista di piazza Giuseppe Raffaele, 41 anni – dove il turista si sentiva pienamente libero ed a proprio agio. Ora questi di Roma vogliono rovinarci. Ma non voteremo il prossimo 13 giugno. Non voteremo e protesteremo con tutta la nostra forza”.

“I veri confinati diventeremo noi – commenta Bartolo Famularo, commerciante di 61 anni – perché quando c’è presenza di mafiosi, così come tanti anni fa c’erano i coatti, siamo noi quelli che veniamo più di loro sottoposti a continui controlli. Noi saremo i veri sorvegliati speciali. Non ci si potrà più muovere. Gli eoliani saranno i veri confinati”.

Antonino Giorgi, un muratore di 56 anni, condivide i commenti degli amici e sottolinea come da tempo le carceri mandamentali di Lipari siano vuote: “siamo una popolazione pacifica – aggiunge – che non ha mai dato fastidio al prossimo. Non c’è un furto, non un fatto di sangue, non un solo appunto disciplinare che possa esserci fatto. Perché questa cattiveria nei nostri confronti? Vogliono proprio provocare le condizioni perché anche noi si divenga irriguardosi della legge? I controlli continui che ci sarebbero porterebbero inevitabilmente malumore ed è il malumore cattiva predisposizione contro le leggi. Perché stuzzicarci così? Non vogliamo fare male a nessuno, non ne abbiamo mai fatto. Perché ce l’hanno con noi?”.

Biagio Russo, un pensionato edile di 64 anni, ricorda i tempi antichi delle coscrizioni e ne trae presagi nefasti. Ma ha fiducia che il provvedimento rientri. Le notizie si susseguono, sia da Filicudi sia da Messina, dal capoluogo si viene a sapere che “i mafiosi” saranno trasferiti direttamente da Messina a Filicudi in Aliscafo.

A Lipari giungono notizie che le donne di Filicudi si sono riversate verso il punto di sbarco manifestando e gridando a grande voce che impediranno ai presunti mafiosi di posare piede sull’isola. Ogni arrivo dell’aliscafo è seguito dagli abitanti con apprensione e in massa osservano le persone che sbarcano nell’isola.

 

Nei giorni precedenti i carabinieri avevano iniziato, con molto cautela a cercare gente disposta ad aprire le porte delle loro case agli incomodi ospiti. Sulle prime le richieste dei militari erano state ampiamente soddisfatte, “io stesso – dichiarava Vincenzo Santospirito, 48 anni, da 24 parroco dell’isola – avevo messo a disposizione due stanze della mia canonica, ma poi la gente ha minacciato di linciarmi. Mentre scendeva a mare ho sentito suonare le campane della parrocchia: sono corso sopra, trafelato, e ho trovato una cinquantina di persone che mi hanno intimato di rimangiarmi la parola data. Non solo minacciavano di linciarmi ma dicevano che non avrebbero mai più messo piede nella mia chiesa”. In effetti gli abitanti dell’isola, una quindicina di giorni prima, avevano accolto senza malizia, l’arrivo del tenente Fedele, comandante della tenenza dei carabinieri di Milazzo; quest’ultimo aveva preso contatti con gli abitanti per la cessione, in affitto, di alcuni alloggi sfitti. L’ufficiale dei carabinieri aveva avuto gioco facile nell’individuare le case da affittare ed era stato altrettanto facile convincere gli abitanti ed i proprietari ad affittarli allo Stato per una destinazione che era stata taciuta. Nessuno aveva sospettato di dover ospitare, a distanza di qualche giorno, il fior fiore della mafia siciliana. Probabilmente anche la buona fede carpita aveva finito per esasperare gli animi dei filicudari, che hanno accolto le motovedette al grido di: “non ci sono alloggi da affittare qui a Filicudi. Andate a cercarli altrove. Ma qui no.”

 

Il boss di Cinisi Gaetano Badalamenti a Filicudi, 1971

Le notizie si approfondiscono, si viene a sapere che i filicudari hanno impedito a due motovedette che trasportavano suppellettili ed un rinforzo di carabinieri e polizia lo sbarco sull’isola lanciando urla a squarciagola e invettive contro gli agenti. Di fronte ai tentativi da parte delle motovedette le donne di Filicudi si sono armate di coraggio ed hanno affrontato gli agenti in un corpo a corpo. Al sindaco viene riferito, inoltre, che una donna si lamentava per essere stata malmenata da un alto ufficiale di PS. I duecento abitanti di Filicudi trascorrono la notte in bianco, presidiando i luoghi di sbarco di Pecorini e Porto decisi a non fare scendere nessuno che, sia pure lontanamente, poteva somigliare ad un “elemento socialmente pericoloso”.

Con la rabbia in corpo da quel momento nelle case a Filicudi non rientra più nessuno, specialmente le donne. Sono tutti rimasti sulle spiagge a scrutare l’orizzonte, pronti a dare l’allarme se qualche nave sospetta si fosse avvicinata. Le due motovedette hanno dovuto mollare le ancore in rada e sono rimaste li in attesa che si sblocchi in un senso o nell’altro la situazione.

 

La notizia della rivolta di Filicudi si diffonde per l’arcipelago suscitando solidarietà e ridando energia a chi credeva che questa volta non si sarebbero ottenuti i risultati conseguiti nell’anno precedente. Centinaia di pescatori di Lipari, si dicono pronti a partire con tutti i tipi di imbarcazione a loro disposizione per raggiungere Filicudi e unirsi agli abitanti di quell’isola nella manifestazione di protesta. Come si potrà facilmente comprendere l’atmosfera in tutto l’arcipelago delle Eolie è molto tesa. […]